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Direttore Pompei: La leggenda del pettirosso che tolse le spine dal capo di Gesù

Di Pietro Pompei

È proprio vero: noi siamo cresciuti con le leggende. Forse è anche per questo che non siamo concreti come i ragazzi di oggi, che tra Piccoli brividi, Pokémon, Shrek e mostri di ogni tipo, sembrano più decisi e pronti ad affrontare le avversità della vita.

Tante volte penso che, un tempo, le leggende servissero ad addolcire una realtà che non aveva bisogno di altri additivi; e se in esse si nascondeva anche un insegnamento morale, potevano perfino educarci.

Così, mentre torno a rileggere con la stessa emozione di sempre la Passione di Gesù nei Vangeli, riaffiora nella mente la leggenda del pettirosso. Si racconta che, mentre al condannato veniva posta sul capo una corona di spine, un piccolo e gentile batuffolo di piume, vedendolo soffrire, si avvicinò saltellando sul Golgota. Con il suo lungo e sottile becco cercò di togliere le spine dalla fronte di Cristo, e nel suo slancio d’amore si macchiò il petto del sangue di Gesù. Da allora, quel rosso è rimasto segno della sua bontà.

Una leggenda delicata, come delicato è il suo protagonista, che ancora oggi non teme l’uomo e spesso lo si vede saltellare dietro agli agricoltori intenti nei lavori dei campi.

Eppure, di spine sul capo di Gesù, la storia degli uomini ne ha continuato a mettere tante. E ancora oggi non sembra che ci sia la volontà di desistere. Quanti missionari, quanti cristiani vengono uccisi tra l’indifferenza generale! Sono nuove spine che trafiggono il Cristo.

Se una parte del corpo soffre, è il capo a sentire più di tutte il dolore. Così, le violenze, le guerre, gli attentati suicidi che coinvolgono innocenti sono spine che lacerano il volto di Chi ha scelto di testimoniare l’Amore. Gli omicidi, i suicidi — spesso tra i giovani — feriscono e offendono Colui che si proclamò “Vita”. E altrettanto fanno le assurde decisioni che pretendono di manipolare la vita stessa, come quelle sull’eutanasia.

Non possiamo poi tacere le continue violenze sulle donne, che dissacrano le famiglie e macchiano di sangue le nostre città. Spine atroci, che superano ogni forma di umanità e di decenza, sono anche quelle che nascono dallo sfruttamento e dall’indifferenza: le tragedie di Lampedusa, che fecero gridare a Papa Francesco “Vergogna!”, ne sono un esempio. Ma la vergogna, oggi, sembra non trovare più spazio nella nostra società.

Spine, spine, spine: in Siria, in Palestina, in Congo; in Italia, dove la tratta di esseri umani è diventata un sistema strutturato di sfruttamento sessuale, lavorativo e perfino di accattonaggio.

E spine si trovano anche nei luoghi più vicini a noi: dove si spaccia droga, dove i videogiochi mettono in crisi le famiglie, dove si perde la sensibilità verso chi soffre o verso chi arriva da lontano.

Che fare, allora?
Forse quel piccolo pettirosso torna a ricordarci che sta a noi continuare a togliere le spine dal capo del Crocifisso. Lo possiamo fare con la preghiera — che è la prima e più potente arma contro l’egoismo — ma anche con l’impegno sociale, con un’accoglienza che non sia solo un gesto isolato, bensì un vero “abito mentale”.

Portiamo ovunque il messaggio d’Amore che viene dalla Croce di Cristo, convinti che il nostro piccolo granello di senape, insieme a quello di tanti altri, potrà diventare un grande albero in una foresta di Pace.