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Scuola, uscita anticipata per Samb – Ascoli: resa delle Istituzioni?

Foto di Federico Del Zompo

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – In occasione del derby di Coppa Italia Samb – Ascoli, previsto per Mercoledì 29 Ottobre 2025, il Prefetto di Ascoli Piceno, su indicazione del Questore, ha disposto la chiusura anticipata alle ore 12:00 di tutte le scuole di ogni ordine e grado.
La decisione – come si legge nell’ordinanza – è stata adottata in considerazione dei potenziali rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica connessi all’evento sportivo.

Pur senza entrare nel merito delle valutazioni delle Autorità, che certamente avranno agito con senso di responsabilità e prudenza, non possiamo esimerci dal porre alcune riflessioni.

È opportuno che l’attività scolastica venga interrotta per ragioni di sicurezza legate a una partita di calcio?

È giusto che studenti ed insegnanti debbano rinunciare a ore di lezione, alla normalità di una giornata scolastica e perfino alla libertà di circolare in città, a causa del rischio di disordini legato a un evento sportivo?

E ancora: non sarebbe più equo e civile intervenire con decisione su chi rappresenta un potenziale pericolo per la sicurezza, anziché su chi, al contrario, vive con serenità e rispetto la propria quotidianità?

In altre parole: non è una sconfitta per la società civile agire sulle presunte vittime invece che sui presunti colpevoli?

Quale messaggio stiamo trasmettendo ai bambini e ai ragazzi? Che il modo migliore per evitare la violenza sia rinunciare ai propri diritti e spazi? Che di fronte alla minaccia, la risposta debba essere il ritiro e non la responsabilità e la fermezza dello Stato?

Un provvedimento come questo, per quanto animato da finalità di tutela, rischia di trasmettere un messaggio di sfiducia: quello che la violenza è inevitabile, che il rischio è certo e che l’unica soluzione sia farsi da parte.

Non corriamo il pericolo di rafforzare, proprio così, quella piccola minoranza che usa il calcio come pretesto per imporre con la forza la propria prepotenza?

Non finiamo, inconsapevolmente, per legittimare la logica del bullo, anziché contrastarla?

Come ha osservato una psicologa in questi giorni, “è come dire a un ragazzo di restare a casa per non rischiare di essere aggredito da un bullo”.
Ma davvero questa è la lezione che vogliamo trasmettere ai nostri giovani?

La passione sportiva è un valore, ma non può e non deve dettare l’agenda di una città, né condizionare la vita scolastica.

In Italia l’organismo che governa il calcio si chiama FIGC, Federazione Italiana Giuoco Calcio: una denominazione che ricorda la sua natura più profonda. Perché, nonostante tutto, il calcio – anche quello più sentito – resta un gioco.

E forse dovremmo ricordarlo più spesso, soprattutto quando le decisioni che lo riguardano, incidono sulla vita civile e sull’educazione dei nostri figli.

Papa Francesco lo ha ricordato con parole semplici e forti:

Lo sport contiene in sé una forte valenza educativa, per la crescita della persona: crescita personale, nell’armonia di corpo e di spirito, e crescita sociale nella solidarietà, nella lealtà e nel rispetto

Ecco allora la domanda più importante:
stiamo davvero insegnando ai nostri giovani a dare il giusto peso agli avvenimenti della vita?