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San Benedetto, intervista al Dottor Serafino Luzi, dalle sfide dell’eroina alla società della performance. 30 anni accanto a chi lotta contro le dipendenze

Serafino Luzi

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Dopo oltre trent’anni di servizio nella sanità pubblica, il dottor Serafino Luzi, psichiatra e Direttore dell’U.O.S. Farmacologia del Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche (STDP) di San Benedetto del Tronto, si avvia alla pensione a fine anno. Entrato nel 1994 come assistente medico, ha attraversato decenni di cambiamenti nel mondo delle dipendenze, dalle emergenze legate all’eroina fino ai nuovi scenari dominati da cocaina, alcol e gioco d’azzardo. In questa intervista ripercorre la sua esperienza e riflette sull’evoluzione del fenomeno, sulle sfide attuali e sul valore umano del lavoro nei servizi per le dipendenze.

Dottor Luzi, tra pochi mesi lei andrà in pensione, dopo oltre trent’anni di servizio nel settore delle dipendenze patologiche. Un traguardo importante. Come guarda a questo percorso?
È vero, a fine anno concluderò il mio percorso professionale all’interno del Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche di San Benedetto del Tronto. Entrai nel 1994 come assistente medico e, passo dopo passo, ho avuto l’onore di diventare direttore di struttura semplice e oggi di svolgere le funzioni di direttore del Servizio. È stato un cammino intenso, umano e professionale, in un ambito complesso ma profondamente significativo, che mi ha permesso di vedere l’evoluzione delle dipendenze e del modo in cui la sanità pubblica e la società si rapportano a esse.

Può spiegarci quale ruolo svolge oggi il Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche (STDP)?
Il nostro Servizio fa parte del Dipartimento Dipendenze Patologiche dell’AST di Ascoli Piceno, insieme alla sede di Ascoli. Si tratta di un servizio sanitario pubblico che garantisce i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle dipendenze patologiche. Ci occupiamo non solo delle dipendenze da sostanze illegali, ma anche da sostanze legali come alcol, tabacco o psicofarmaci, e delle cosiddette dipendenze “comportamentali”, come il gioco d’azzardo patologico. Il nostro approccio è multidisciplinare – bio-psico-sociale – e si basa su Programmi Terapeutici Individualizzati (PTI), costruiti su misura per ogni persona, con l’obiettivo di tutelarne la salute e favorirne il reinserimento nella vita sociale.

Qual è oggi il profilo delle persone che si rivolgono al vostro servizio?

L’affluenza è stabile rispetto agli anni precedenti e coinvolge persone di tutte le età. In alcuni casi arrivano anche minorenni, spesso segnalati dai servizi sociali e dai genitori. Questi ragazzi sono in genere seguiti anche da un neuropsichiatra infantile. Negli anni abbiamo notato una trasformazione nel tipo di sostanze: un tempo la problematica principale era l’eroina, oggi invece la cocaina, spesso associata all’alcol. Quest’ultimo, oltre a essere culturalmente accettato, ne facilita l’uso. Viviamo in una società che richiede prestazioni elevate e risultati brillanti, e alcuni credono che la sostanza possa aiutarli a ottenere performance migliori; in realtà, l’effetto è esattamente l’opposto. A questo si aggiunge un contesto di precarietà e fragilità sociale. Non dimentichiamo che oggi la cocaina è anche economicamente più accessibile, e questo è un fattore di rischio ulteriore.

Quali sono le problematiche cliniche che più frequentemente accompagnano la dipendenza?

Oggi registriamo numerosi casi di tossicodipendenza associata a disturbi psichiatrici. Questo in parte è dovuto a una maggiore capacità di diagnosi e alla collaborazione con diverse comunità terapeutiche, come la Cooperativa AMA-Aquilone e Dianova. Ci occupiamo anche di situazioni particolari, come quelle delle donne tossicodipendenti in gravidanza. In questi casi collaboriamo anche con l’Ospedale Salesi di Ancona per il monitoraggio delle gestanti e dei neonati. Alcune mamme, dopo un percorso complesso, riescono a tornare con i propri figli e a mantenere una buona qualità di vita: sono storie che ci restituiscono fiducia nel nostro lavoro.

Dal punto di vista sanitario, come affrontate le conseguenze fisiche delle dipendenze?
Da anni effettuiamo screening sistematici per l’epatite C e per altre patologie correlate, che possono portare anche alla cirrosi epatica. Alcuni pazienti, purtroppo, arrivano fino al trapianto di fegato. Collaboriamo con i reparti di Malattie Infettive per il monitoraggio e la cura, e recentemente abbiamo la possibilità di eseguire controlli più specifici. Il costo sociale e sanitario di queste patologie è rilevante, ma intervenire precocemente può fare la differenza.

Negli ultimi tempi si parla molto di dipendenze “senza sostanza”, come il gioco d’azzardo. È un fenomeno che incontrate spesso?

Assolutamente sì. Il gioco d’azzardo patologico è una realtà in forte attenzione. Collaboriamo attivamente con lo sportello GAP della Cooperativa AMA-Aquilone, che rappresenta un punto di riferimento sul territorio. Anche in questo caso l’approccio è multidisciplinare, perché dietro la dipendenza c’è spesso una sofferenza psicologica profonda e un bisogno di supporto umano oltre che terapeutico.

Se dovesse lasciare un messaggio dopo tanti anni di servizio, quale sarebbe?

Direi che la chiave è non giudicare, ma comprendere. Le dipendenze non sono scelte, ma percorsi di sofferenza che meritano ascolto, rispetto e competenza. Il nostro compito come operatori pubblici è quello di offrire una possibilità reale di cambiamento, con percorsi personalizzati e con il coinvolgimento della rete dei servizi, delle comunità e delle famiglie. È un lavoro impegnativo, ma che dà senso profondo alla nostra professione.