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San Benedetto, Parrocchia Sant’Antonio – Intervista al nuovo parroco padre Andrea Cannuccia: “La comunione fraterna ci strappa dalla solitudine”

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Domani, Domenica 19 Ottobre 2025, la comunità Sant’Antonio di Padova di San Benedetto del Tronto accoglierà solennemente il nuovo parroco padre Andrea Cannuccia, che ha assunto anche l’incarico  di Guardiano dell’omonimo Convento.  La cerimonia di insediamento avverrà durante la Messa delle ore 11:30, che sarà presieduta dal Vescovo Gianpiero Palmieri. Al termine della Celebrazione Eucaristica ci sarà anche un momento di convivialità presso i locali dell’oratorio.

Alla vigilia di questo appuntamento importante per la sua vita e per la comunità sambenedettese, abbiamo incontrato padre Andrea Cannuccia, così da conoscerlo meglio e scoprire con quali sentimenti sta vivendo questo momento significativo.

Qual era il suo rapporto con la fede da bambino?
Sono originario di Castelfidardo e sono nato a Loreto. Provengo da una famiglia cristiana: già da quando io ero piccolino, i miei partecipavano al gruppo famiglia della parrocchia e al cammino dell’Azione Cattolica. Da piccolo ho fatto parte dell’ACR e ho partecipato a diversi campi scuola. Mi piacevano pure gli Scout, ma, essendo molto discolo, mia madre non mi ha mai fatto iscrivere perché aveva paura che mi perdessi! Quindi ho trascorso la mia infanzia in parrocchia, quella centrale, dove c’è la Collegiata Santo Stefano. Lì ho ricevuto tutti i Sacramenti: Battesimo, Confessione, Comunione, Cresima e Ordinazione presbiterale. Solo il Diaconato l’ho fatto a Roma perché era transeunte.
Dalla Prima Comunione in poi ho iniziato a fare il chierichetto e a servire la Messa e già in quel momento della mia vita c’era un desiderio che piano piano veniva fuori attraverso alcuni piccoli segni. Una volta, ad esempio, ho preso una boccetta di profumo di mia madre, l’ho svuotata e pulita e poi me la sono portata in chiesa. Lì ho preso un pezzo di ostia – una cosa che non va fatta ovviamente! – e l’ho messo dentro quella boccetta, poi me lo sona portato a casa e ho acceso una candela vicino a questa boccettina. Mio padre, che passava di lì e mi ha visto sul davanzale della finestra con quella boccetta e la candela accesa a fianco, mi ha chiesto cosa stessi facendo ed io, con molta innocenza, gli ho risposto: “Babbo, abbiamo Gesù a casa! L’ho preso per farlo stare sempre con noi!”. Mio padre mi ha guardato prima un po’ interdetto, poi, dopo aver osservato meglio, con gli occhi sgranati mi ha detto che Gesù può stare solo nel tabernacolo e mi ha fatto mangiare quel piccolissimo pezzettino di ostia che era rimasta.

Quando e come ha scoperto la sua vocazione alla vita religiosa?
Alle Medie i segni di questa vocazione sono emersi in maniera più chiara. Vi racconto un episodio. Ogni giorno, dopo pranzo, spesso andavo a rovistare nella borsa di mia madre, per trovare qualcuna di quelle caramelle celesti che all’epoca il negoziante le dava come resto. Un giorno, anziché le caramelle, ho trovato una coroncina celeste per dire il Rosario. Appena l’ho presa in mano, ho sentito un forte desiderio di mettermi a pregare e, da quel giorno fino ad oggi, ogni giorno prego il Rosario. Avevo 12 anni e solo dopo molto tempo ho scoperto che quella coroncina era stata regalata a mia madre da un’amica che l’aveva fatta benedire a Međugorje durante un’apparizione della Madonna.
Ritengo questo fatto un segno molto forte della mia vocazione, anche se io all’epoca ancora non avevo capito nulla. È stato nel periodo dell’adolescenza che la mia strada mi si è fatta via via più chiara.

C’è stato un momento particolarmente significativo che ancora ricorda?
Durante la Scuola Media la mia vita è andata avanti come quella di tanti altri ragazzi: continuavo a seguire il mio gruppo di Azione Cattolica e avevo anche una storiella con una ragazza. Poi, al primo anno della Scuola Superiore, è arrivato il momento della pesantezza, delle prime esperienze di fatica, della crisi. Apparentemente non mi mancava niente, avevo molto più dell’essenziale; eppure mi sentivo mancare la terra sotto i piedi ed ero cambiato anche nell’atteggiamento e nell’umore: in genere ero un burlone e a casa di solito scherzavo sempre; invece in quel periodo ero diventato scontroso, rispondevo male ai miei genitori, non volevo continuare a studiare né volevo andare a lavorare, inoltre volevo rimettermi con la fidanzatina con la quale nel frattempo c’eravamo lasciati. Insomma non sapevo neanche quello che volessi! Posso solo dire che soffrivo, perché quello che facevo prima non mi bastava più, ma ancora non sapevo cosa volessi di nuovo. Un giorno, che ero proprio arrabbiato con me stesso e con la vita che non mi faceva capire di cosa avessi bisogno, ho avuto una bella crisi e ho cominciato a gridare al Signore il mio disappunto e il mio malessere. E mi sono anche posto degli interrogativi che ho rivolto al Signore: “Se la vita è così, cioè solo una grande sofferenza senza un motivo, non vale la pena vivere!“. Facevo questi pensieri mentre tornavo da un viaggio a Loreto e ho avuto paura di me stesso e di quei pensieri. Giunto a casa, dopo aver mangiato qualcosa, mi sono sdraiato sul divano e mi sono messo a dormire esausto. Quando mi sono svegliato, mi sono visto riflesso sul lampadario di casa, ho mosso il braccio, poi mi sono messo seduto, ho avuto un tonfo di consapevolezza e mi sono detto: “Caspita, ci sono!“. E allora, nel silenzio del mio cuore, gli ho detto: “Ok. Ho capito che, se ci sono, non è un caso. Ora, però, Signore, devi dirmi perché ci sono!“. Da quel giorno ho gridato a Lui, perché già dal giorno della Cresima avevo percepito che Lui c’era. E il Signore non ha tardato a rispondermi. Era il 2 Giugno del 1993 e, mentre stavo studiando Storia per l’interrogazione del giorno successivo con la quale avrei dovuto recuperare l’insufficienza precedente, il Signore mi è venuto incontro! Ha deciso di allargarmi il cuore, è venuto nel mio cuore con un amore che non si può descrivere e io ho iniziato a piangere di gioia e sono caduto in ginocchio per la grande gioia.

Cosa intende esattamente?
Sentendomi invaso da quell’eccesso d’Amore, nel mio cuore, Gli ho chiesto: “Signore, cosa vuoi che io faccia?“. E quel giorno il Signore, nell’intimo del mio cuore, mi ha risposto: “Andrea, voglio che mi segui più da vicino!“. Io non sapevo che cosa volesse dire questa espressione. Solo successivamente ho scoperto che quella era l’espressione che indica la consacrazione alla vita religiosa, tanto che ho pensato che mi volesse sacerdote e io nel mio cuore ho sentito un sì. Da quel momento la mia vita si è ricolorata di nuovo, tutto ha preso senso, pure la Ragioneria che non sopportavo, perché ho capito che sarebbe stata utile per comprendere meglio questo mondo in cui vivo. Da lì in poi ho iniziato ad andare a Messa tutte le sere, come se quella trepidazione giornaliera che provavo in attesa del Rosario ora fosse stata convogliata verso l’Eucaristia. Con il tempo ho capito che è stata Maria a condurmi da Suo Figlio.
Successivamente, informandomi e studiando, ho dato un nome a quello che mi era accaduto: quel momento in cui ho avvertito la presenza forte del Signore, si chiama locuzione interiore. E quando il Signore si è reso presente dentro di me, ho iniziato a piangere di gioia per l’amore che sentivo! Mi sono sentito amato dal primo capello fino all’ultima unghia del piede! E una delle prime domande che ho fatto al Signore è stata: “Signore, adesso io so che Tu ci sei, ma gli altri come caspita fanno a saperlo?” E Lui mi ha risposto: “Faranno come hai fatto Tu, che mi hai cercato e hai gridato a Me. E lo faranno anche attraverso di te“.

A chi ha raccontato questa esperienza di incontro con il Signore?
All’inizio non l’ho detto a nessuno! Ho continuato la mia vita come prima. Dopo un po’, però, questo Amore che sentivo mi implodeva dentro, mi succedeva di buttarmi sul letto e di piangere: non sapevo come contenerlo ed era come se mi scoppiasse dentro. Allora ho sentito la necessità di condividerlo con qualcuno. Ho chiesto in parrocchia di poter divenire educatore di Azione Cattolica: insieme ad una ragazza e ad una suora, ho preso i bambini che erano in Prima Elementare e li ho accompagnati fino alla Prima Comunione. Terminata la Ragioneria e conseguito il diploma, a 19 anni, sono entrato in convento e lì il Signore mi ha condotto sulla via di Francesco con una naturalezza di cui neanche mi sono accorto.

Quando e come ha deciso di diventare frate? C’è qualche persona che ha contribuito a farle scoprire la sua vocazione?
Con la mia parrocchia di Santo Stefano, ho partecipato ad un campo scuola per giovani. Lì una cuoca, che aveva una figlia suora nella Congregazione di Madre Teresa, mi ha regalato un libricino con gli scritti di San Francesco e Santa Chiara. La lettura di quel volumetto mi ha guidato sulla via di Francesco. È nato poi il desiderio di farmi seguire da padre Luigi Moretti, anche perché la sera, camminando a piedi, preferivo andare a Messa nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova che era più vicina. Padre Luigi prima mi ha invitato ad andare a “Giovani verso Assisi“, poi, di lì a poco, mi ha proposto anche di fare l’esperienza di un weekend vocazionale. In quel contesto ho sentito che c’era una profonda corrispondenza tra quel desiderio di radicalità evangelica che Gesù aveva messo nel mio cuore e questa forma di vita religiosa. Mi sono sentito a casa, mi sono sentito accolto! Pian piano la mia vocazione stava prendendo forma. Quello che ha fatto da discrimine infine è stato l’invito di un frate, che era venuto a fare una testimonianza ad un campo giovani dell’Azione Cattolica. Ho ascoltato la sua testimonianza con grande interesse e, dopo il pranzo, gli ho voluto parlare. Quel frate, i cui momenti trascorsi insieme ricordo nitidamente, oggi è il cardinale Mauro Gambetti. Quella sera mi ha invitato alla sua professione di voti temporanei che si sarebbe tenuta di lì a poco ad Osimo, nella parrocchia di San Giuseppe da Copertino. Spinto dalla curiosità, sono andato. Ricordo che quel giorno ho sentito una forte gioia e una grande corrispondenza. E nel mio cuore ho detto: “Sì, questo voglio!“. Ricordo anche che con me c’erano mia madre e mia nonna. Quest’ultima, che aveva iniziato ad intuire le mie intenzioni, mi ha detto: “Vedi come piangono i genitori lì al primo banco?“. E io, preso dalla grande gioia di quel momento, le ho risposto: “Nonna, stanno piangendo di gioia per la scelta che hanno fatto i loro figli!“. Dopo aver frequentato il week-end vocazionale a Fermo, dove c’era anche padre Patrizio – che adesso è don Patrizio Spina, il nostro vicario generale -, in un colloquio successivo gli ho manifestato le mie paure e il mio desiderio e lui mi ha risposto: “Ma se tu senti questo desiderio, vai! Che motivo hai di aspettare?” E così ho fatto!

Come è stata accolta la sua decisione in famiglia?
I miei alla fine l’hanno accolta ed accettata, perché comunque vivevano nella fede, però è stata una bella botta! Spesso infatti uno prega per le vocazioni, per far sì che sempre più giovani decidano di diventare preti o suore, però non pensa mai che possa capitare al proprio figlio o alla propria figlia! Poi è stata una bella botta anche perché noi siamo una famiglia molto unita: con mio fratello, in particolare, visto che ci sono solo due anni scarsi di differenza di età, facevamo molte esperienze insieme e quindi distaccarsi da lui e da tutti i miei familiari in generale è stata un po’ tosta.

Come è proseguita la sua formazione?
Dopo l’esperienza del pre-Postulato, che è durata un anno, ho frequentato l’Istituto Teologico Marchigiano a Fermo per i due anni di Postulato. Al termine sono stato messo di fronte ad una scelta. Noi frati, infatti, siamo chiamati a fare un discernimento nel discernimento: se uno avverte che vuole rimanere semplicemente un fratello religioso, allora non c’è la necessità di terminare tutti gli studi teologici; se invece si sente di voler diventare anche prete, il percorso va terminato con altri tre anni di studio. Io ho proseguito e ho terminato il triennio di studi ad Assisi, dove ho iniziato anche il post-noviziato. Successivamente sono andato a Roma, dove ho approfondito gli studi di Teologia Spirituale presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università “Antonianum“. Al termine degli studi, sono stato un anno a Montedinove per svolgere il mio servizio e fare esperienza sul campo, poi sono tornato a Roma per l’ordinazione diaconale. Il 26 Settembre del 2009, infine, sono stato ordinato sacerdote.

Dopo l’ordinazione presbiterale, fin da subito le sono stati affidati i giovani universitari nella città di Urbino. Come l’ha arricchita questa esperienza?
È stata un’avventura bellissima! Si è creata una comunità proprio viva di ragazzi che, pian piano, sono diventati una rete capace di attrarre altri ragazzi. Ho lavorato in particolare con gli studenti della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) insieme agli Scout e ho collaborato anche con CL. Abbiamo aperto una residenza per studenti, la Casa Universitaria San Damiano, utilizzando alcuni locali del convento che abbiamo riconvertito. Insieme ad una coppia, che partecipava al gruppo universitario e poi si è sposata, ormai da quattro anni portiamo avanti un progetto di ospitalità che consiste in un’esperienza familiare di fraternità, con tre pilastri fondanti: l’accoglienza, la cura e la crescita. Porterò sempre nel cuore questa esperienza bellissima a cui ho dedicato 16 anni della mia vita.

Visto che ha avuto modo di osservarli da vicino, come sono questi giovani? C’è o no una crisi di spiritualità che li riguarda?
C’è, più che altro, una crisi di paternità spirituale. I giovani sono un po’ disorientati. Sicuramente non sono più così vicini alla Chiesa e si sono allontanati perché riscontrano una mancanza di coerenza e di credibilità da parte di molti cristiani. Tante volte ho sentito dire dai ragazzi: “I cristiani dovrebbero comportarsi in un modo ben preciso e io invece questo nella Chiesa non lo ritrovo. E non mi ci ritrovo”. Mi pare che sia questo il punto. E di fronte a questo cosa possiamo fare? Prima di tutto possiamo riscoprire la paternità spirituale, anche da parte di noi sacerdoti anzitutto. Siamo chiamati ad insegnare la fede: ai ragazzi della FUCI, ad esempio, abbiamo proposto anche dei percorsi di approfondimento della fede a cui è seguita poi la direzione spirituale e a volte, in particolari situazioni di bisogno, anche l’accompagnamento psicologico. Poi siamo chiamati ad avere cura delle relazioni. C’è bisogno di una Chiesa a tutto tondo, dove i giovani possano vivere la vita e anche la vita di fede, condividendo le fatiche, le fragilità, ma anche assaporando la gioia dello stare insieme, dell’aiutarsi, del sostenersi. Ecco, questo è il segreto: vivere una fiducia reciproca. Oggi il problema più grande della fede è la mancanza di fiducia nelle relazioni umane: se noi non riscopriamo la fiducia nelle relazioni umane, nelle persone che incontriamo tutti i giorni, come possiamo pensare di fidarci di un Dio che non vediamo?! La via ordinaria, attraverso la quale il Signore passa, sono le relazioni umane! Ce lo ha insegnato Gesù, incarnandosi per noi. Bisogna allora creare un’oasi di vita: io la chiamo così! Un’oasi di vita dove ci sono persone che fanno esperienza di fiducia. Un’oasi di vita in cui ogni persona sperimenta che è più bello vivere in comunione con il Signore e tra noi. Parlo di quella comunione che non toglie le difficoltà della vita, ma che dà motivo per attraversarle e continuare a vivere con gioia. Ragazzi così diventano loro stessi una rete che pesca altri ragazzi! Non possiamo pensare di pescare solo noi sacerdoti, solo noi catechisti! Sono i giovani stessi che fanno rete tra di loro e si danno l’annuncio a vicenda.

Dunque la comunità di Sant’Antonio di Padova è la prima parrocchia che le viene affidata. Quali sentimenti serba nel cuore, alla vigilia del suo insediamento?
Quando il ministro provinciale mi ha proposto questa destinazione, gli ho chiesto: “Ma sei sicuro? Perché io non ho mai fatto il parroco!“. Non nascondo che all’inizio un po’ di timore ci fosse, ma poi, venendo qui, il cuore mi si è alleggerito: ho già visto che la parrocchia è già ben avviata e questo è un ottimo punto di partenza. Un’altra cosa che mi conforta nel cuore è che non sarò solo: oltre a tutta la fraternità conventuale, con me in particolare ci saranno due frati come vice parroci, padre Felix Blaj e padre Carmine Vitali. È bello condividere questa nuova esperienza con i miei confratelli, perché questa è la nostra missione, la nostra vocazione: essere testimoni, insieme, di quella comunione che forse oggi può continuare a dire qualcosa, in questo mondo così diviso e divisivo, proprio quella comunione di cui c’è bisogno.

A cosa darete la priorità? Quali saranno le prime attività che metterete in atto?
A me e ai confratelli interessa che ci sia una comunità viva nella fede. Le cose che si fanno sono del tutto relative. Quello che ci interessa di più è che ci sia un’anima in quello che si vive. E questa anima – come dicevo prima – è la comunione tra noi. Per poter capire come incidere in questo senso deve passare almeno un anno. Per aiutare la comunità a vivere questa comunione, daremo molta importanza all’accompagnamento spirituale. Ogni persona dovrebbe avere un padre spirituale di riferimento che possa accompagnarlo nel suo cammino di fede almeno con un incontro al mese. In questo periodo storico molto faticoso, essere ascoltati è importantissimo per la propria vita spirituale e porta benefici anche nella vita sociale.

Si sono conclusi da poco i festeggiamenti in onore di San Francesco e per lei è stata la prima volta nella nostra Diocesi. Come ha vissuto le iniziative con tutta la famiglia francescana picena?
Mi ha colpito sinceramente l’attenzione che il vescovo Gianpiero ha avuto nel vivere questo appuntamento. Ho percepito chiaramente il suo desiderio di tenere unita tutta la famiglia francescana, comprese le Clarisse, e questa cosa mi è piaciuta tantissimo. Ho visto inoltre che ha allargato le iniziative a tutta la Chiesa del Piceno e anche questo è molto bello: Francesco, infatti, non è dei frati; Francesco è di tutti, come ogni santo. Tutti siamo chiamati ad essere una cosa sola con il Signore e tra noi e noi siamo solo a servizio di questa comunione. Chi in un modo, chi in un altro. Chi con un carisma, chi con un altro. Tutti, però, come Chiesa, possiamo dire l’unica Parola che è Gesù Cristo, la Verità che poi salva.

C’è una pagina del Vangelo che guida la sua vita?
Sì, la mia Parola è tratta dal Vangelo di Giovanni. “Come tu, Padre, sei in me e io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo sappia che Tu mi hai mandato“. Questo è il mio sogno nel cassetto: essere, insieme ai miei fratelli, uno squarcio di Paradiso in questo mondo, perché possiamo ricordare che è possibile vivere in comunione fraterna tra noi, che poi è quello che dà senso alla nostra vita. Fuori da questa comunione, infatti, c’è solo la solitudine. Sì, magari siamo insieme, trascorriamo del tempo insieme, facciamo delle attività insieme, ma si tratta di una convivenza, non di una relazione che dà senso e spessore alla vita. La vera comunione fraterna, invece, ci strappa dall’assurdità della solitudine.