
Di Riccardo Benotti
Il grido dei poveri e quello della terra non salgono separati: sono un’unica supplica che chiede giustizia, conversione, prossimità. Dilexi te, prima esortazione apostolica di Papa Leone XIV, rilancia il Vangelo come chiamata a un amore concreto, integrale, radicato nella realtà. Il card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, ne esplora i nuclei vitali e indica una strada fatta di piccoli gesti, capaci di rigenerare le comunità dal basso.
Eminenza, nella “Dilexi te” si parla di “un’opzione preferenziale da parte di Dio per i poveri”. In un tempo segnato da disuguaglianze crescenti e comunicazione spesso autoreferenziale, come possiamo imparare ad ascoltare questa preferenza divina?
Non possiamo affidarci a soluzioni preconfezionate o a strategie elaborate dall’alto. È un cammino che si costruisce nella vita concreta delle comunità, a partire dalle parrocchie. Lì possiamo incoraggiare i fedeli a
riscoprire che l’incontro con i poveri non è questione di generosità occasionale o di buon cuore, ma un’esperienza autentica di ascolto e di relazione.
Ascoltare i poveri significa lasciarsi trasformare, accogliendo la loro voce come luogo in cui Dio ci parla.
L’esortazione propone un intreccio tra educazione, Eucaristia e servizio. Come aiutare le comunità, spesso provate dalla fatica quotidiana, a vivere in questa direzione?
Non servono gesti eccezionali, né parole complicate. A volte idealizziamo il servizio fino a renderlo inaccessibile, e finiamo per bloccarci. La via è quella dei piccoli passi, concreti e possibili. Una madre che cucina un po’ di più può condividere il suo pasto. Un padre, pur con mille impegni, può offrire un’ora del proprio tempo. Non si tratta di grandi progetti, ma di quotidianità trasformata dall’amore. È così che la fede diventa credibile e vicina.
Nel documento si richiama la necessità di una “conversione delle strutture”. Quali ingiustizie sistemiche ci impediscono oggi di costruire un mondo più giusto?
Ogni contesto ha le sue ferite, ma esistono nodi comuni che non possiamo ignorare. Il cambiamento climatico e i disastri ambientali sono tra questi. Anche qui, il punto non è fare tutto, ma cominciare.
Con passi piccoli ma determinati possiamo incidere e, soprattutto, educare i nostri rappresentanti politici a comprendere che una società giusta parte dalla sostenibilità e dalla dignità di ogni persona.
Non possiamo più separarci dalla responsabilità politica che nasce dalla fede.
(Foto Siciliani – Gennari/SIR)
La dimensione pubblica della fede è spesso trascurata. “Dilexi te” può essere letta anche come un appello alla responsabilità civile dei cattolici?
Sì, ed è un richiamo urgente. Siamo troppo abituati a lamentarci in privato, ma non abbastanza pronti a far sentire la nostra voce là dove si prendono le decisioni. Non basta indignarsi: bisogna agire.
La corresponsabilità non è solo un principio ecclesiale, è anche uno stile di cittadinanza.
Chi crede non può restare ai margini della storia. Fede e impegno civile camminano insieme, soprattutto quando in gioco c’è il bene comune.
Il Papa lega strettamente il grido dei poveri alla crisi ecologica. In che modo questa visione interpella la pace cristiana oggi?
È una delle intuizioni più forti e attuali del magistero. Il pianto dei poveri e quello del pianeta non sono due drammi separati: sono un unico grido, con due volti.
La crisi ecologica è anche crisi sociale, e viceversa. Ma spesso non lo vediamo.
Ci si divide: chi si occupa di giustizia sociale e chi si dedica all’ambiente. E invece la pace, quella vera, nasce solo da uno sguardo integrale che riconosce l’intreccio profondo tra ferite umane e ferite del creato.
Che significato ha il fatto che “Dilexi te” sia il primo documento del pontificato di Leone XIV?
È una scelta che parla con forza. Non siamo davanti a un’aggiunta, ma a un ritorno alle sorgenti del Vangelo. L’esortazione ci ricorda che seguire Cristo significa stare con gli ultimi, farsi carico delle ferite del mondo, camminare con chi resta indietro. È una chiamata all’essenziale: amare come Gesù ha amato, non in astratto, ma nel concreto della storia. Questo è l’inizio di ogni riforma possibile, dentro e fuori la Chiesa.