- L'Ancora Online - https://www.ancoraonline.it -

Narrare l’indicibile nel romanzo “Nel cuore del figlio”

Foto Calvarese/SIR

Di Marco Testi

(Foto Città Nuova)

Una storia complessa, come le storie vere, questa narrata da Pierluigi Vito nel romanzo “Nel cuore del figlio” (Città Nuova, 2025, 212 pagine). Anche perché è assai arduo distendere sullo spazio del foglio di carta – chissà per quanto ancora – in una somma matematica di spazi e scrittura il fluire assoluto di eventi, pensieri, dolore e gioia spesso precipitati in quella segreta mistura che nel Medioevo era considerata la formula alchemica perfetta.

Ed è merito di questo libro l’emergere del profondo proveniente dagli abissi reconditi della perdita di un figlio, dei ricordi del prima, del “riaggallare” lancinante di memorie al sopraggiungere dell’impensabile e del non-benvenuto. Ciò che a tutta prima sembrerebbe indicibile. Vito riesce nell’arduo compito di rendere possibile la pronuncia del grido alla prova di questo senza senso che giunge dagli abissi, che è stato reso rappresentabile solo dall’intreccio d’arte, psiche, letteratura: accade nell’”Urlo” di Munch o nei racconti che emergono dalle carneficine sulle sponde orientali del Mediterraneo o nei confini di una Eurasia ancora alla ricerca di risposte ad antiche domande, come è accaduto nei lager o nei campi di lavoro o nelle città preda del fungo atomico.

Nel romanzo “Nel cuore del figlio” tre nuove vite rimbalzano dal corpo di un giovane tennista e creano nuove attese e contraddizioni che esulano dal prevedibile nella mente, nel corpo e nell’anima di un padre in preda e alla disperazione e all’indifferenza verso la sofferenza degli altri. E che però dovrà andare a cercare, per i motivi che il lettore apprenderà scorrendo queste pagine, le nuove vite rese possibili dalle parti del corpo di un figlio inesorabilmente perduto.

Una perdita lentamente percepita come paradossale dono di nuova vita e di nuovi sensi.

Il buonismo resta magistralmente fuori dal racconto, perché le tre nuove vite prenderanno strade radicalmente diverse rispetto alle attese – e all’immaginazione – di Rolando, il protagonista, dovremmo dire il primo protagonista, di una storia in cui la realtà è il collante perfetto, fatto di terrorismo islamico, di campionati giovanili e di Roland Garros, di chiusura in se stessi di giovani musicisti – ecco la straziante attualità di questa figura, che ricorda il quattordicenne che si è tolto la vita prima di rientrare a scuola – che pure avrebbero le capacità di affrontare il mondo, di lutti che sciolgono quello che rimane delle famiglie colpite.

Dicevamo della capacità del romanzo “Nel cuore del figlio” di avvicinarsi al buio della perdita senza ignorare i legami con la complessità di quella perdita:gli occhi dell’osservatore attraversano gli spazi – e i tempi – avvolgendosi con essi, attraverso i dettagli di una partita a tennis, l’esattezza descrittiva delle tecniche e degli stili, le icone dei Novanta -e dopo – tornate a colpire in top-spin o smorzate impreviste, le difficoltà dei giudici di linea a cogliere l’attimo di una palla un millimetro dentro – o fuori – le linee: la medesima indicibile difficoltà a ritrovare negli altri, soprattutto figli, l’immaginario piano e scorrevole delle umane, paterne previsioni.

E lentamente l’ammissione che nulla è prevedibile e che in fondo il Novecento di Einstein e soprattutto di Heisenberg qualcosa di buono lo aveva prodotto:ogni tentativo di segmentare in parti uguali e pianificare la vita sarebbe inutile, però attraverso il dono della parola l’esistenza può divenire condivisione, nella gioia come nel dolore.