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Pellegrinaggio sulla Via Francigena, la testimonianza di Serafino, Roberto, Enzo e Giuseppe

DIOCESI – Dal cuore della Toscana fino alla Città eterna. È iniziato il 27 agosto il pellegrinaggio a piedi di un gruppo di pellegrini della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, che hanno scelto di percorrere la Via Francigena da Castelfiorentino fino alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Un viaggio non solo fisico ma profondamente spirituale, che li ha condotti, tappa dopo tappa, a riscoprire il senso autentico del cammino: simbolo dell’esistenza cristiana, della speranza che illumina il futuro e della pace invocata per le famiglie, la società e il mondo intero.

Il percorso, lungo oltre 350 chilometri e articolato in 17 tappe, si è concluso il 13 settembre con l’ingresso a Roma e il passaggio attraverso le Porte Sante delle basiliche di San Pietro e di Santa Maria Maggiore, in questo anno giubilare dedicato alla speranza.

Dopo la testimonianza del diacono Walter Gandolfi, oggi pubblichiamo le dichiarazioni di Serafino, Roberto, Enzo e Giuseppe.

Serafino
Non mi considero un pellegrino, ma piuttosto un viandante. Il mio cammino è stato quello di un laico, mosso unicamente dal piacere di camminare e di entrare in contatto con luoghi e condizioni che, di solito, attraversiamo comodamente in auto.
Mettere un piede davanti all’altro non è solo movimento: è pensiero, riflessione, coscienza e conoscenza. È anche spiritualità, perché nel cammino si vive un confronto profondo con se stessi e con il mistero, con l’ignoto e con il divino.
Non sono più giovane, ho conosciuto fatiche e difficoltà, ma il cammino mi ha insegnato la semplicità del superare ostacoli e imprevisti. In fondo, camminare è una metafora della vita, ed è un maestro che non smette mai di insegnare.

Roberto
Nel cammino, tra pianure, salite e discese, ogni passo racconta il fluire della vita. Lo zaino non porta soltanto acqua e vestiti, ma anche le nostre ansie, i nostri egoismi, il peso dell’orgoglio. Camminare diventa allora un esercizio di liberazione.
Passo dopo passo impariamo a guardarci dentro, a lasciare andare ciò che ci appesantisce, a distinguere ciò che ha valore da ciò che ci ingombra. E così scopriamo che la vera meta non è un luogo, ma la nostra purificazione interiore.

Giuseppe
È noto che camminare faccia bene al corpo, ma non tutti sanno che fa bene anche all’anima. Alcuni pensano che il valore spirituale del cammino appartenga solo al credente: non è così. Anche chi non crede ha bisogno di risposte alle domande fondamentali — da dove veniamo, dove andiamo, quale senso ha la vita.
Il cammino diventa simbolo di queste domande, e ci interroga sul rapporto tra strada e meta. Perché senza meta non c’è cammino, e senza cammino non c’è vera meta. Forse la risposta sta proprio nel tempo: nel tempo dei significati che il cammino ci dona.
Nella recente esperienza sulla Francigena, da Castelfiorentino a Roma, eravamo in diciassette: ognuno con il proprio passo e le proprie domande. Eppure tutti, credenti e non credenti, abbiamo ricevuto lo stesso dono: quello di camminare insieme, nel tempo dei significati.

Enzo
Questa è stata la mia prima esperienza di cammino, sei giorni intensi che mi hanno permesso di raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato. Ammiro chi sceglie di camminare da solo, ma per me la vera ricchezza è condividere: esperienze, emozioni, conoscenze e, per chi crede, anche momenti di preghiera che rafforzano la fede.
Ogni viaggio è sempre un arricchimento, ma il cammino lo è in un modo speciale. Al termine di questa esperienza mi sento meglio, più sereno e più in pace. Ringrazio il Signore per la forza e l’energia che mi ha dato lungo la strada.