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Sorelle Clarisse: Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Cominciamo subito col porci alcune domande, le stesse che si fa l’autore del libro della Sapienza, libro da cui è tratta la prima lettura di questa domenica: «Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? […] A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo?».

Sono domande attraverso le quali vogliamo mettere davanti al Signore la nostra povertà, il nostro limite, le nostre debolezze e rafforzare la consapevolezza che la sequela del Signore non è questione di forza di volontà, di compiere o meno atti morali e religiosi, ma è dare spazio alla sua opera in noi.

Infatti, continua l’autore del libro della Sapienza, «Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non avessi inviato il tuo santo Spirito?».

Vogliamo, allora, oggi, far arrivare al Signore il nostro grido, la nostra richiesta, quella che canta anche il salmista: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio».

Gesù, nel Vangelo, ci dà subito tre indicazioni.

La prima: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».

Gesù afferma che Lui è di più. Più di un affetto, più di una famiglia, più di qualsiasi altra gioia o soddisfazione che il mondo, la vita, ci possano dare.

Certo, Gesù non vuole instaurare una competizione sentimentale o emotiva tra sé e i nostri affetti umani. Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più”. Il discepolo, cioè, è colui che sulla luce dei suoi amori umani, terreni, stende una luce più grande, quella dell’amore per il Signore.

E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento.

Seconda indicazione di Gesù: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». Portare la croce significa portare l’amore, portare quell’amore che Gesù ci ha proposto prima, fino in fondo.

Portare la croce non è accettare passivamente le fatiche della vita, i problemi familiari, le malattie. La parola “croce” nel Vangelo contiene il vertice e il riassunto di tutta la vicenda di Gesù: amore senza misura, amore disarmato, amore coraggioso, che non si arrende, non inganna, non tradisce.

Terza indicazione: «…chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Gesù ci dice: la tua vita non dipende dai tuoi beni; non lasciarti risucchiare dalle cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più ma ad amare bene.

Cosa vuole dirci, allora, il Signore attraverso la Parola di questa domenica? Ci dice che la sua sequela è esigente perché il discepolo è chiamato non solo ad iniziare, ma anche a portare a compimento.

È come quando si costruisce una torre, dice Gesù, o si sta per affrontare una battaglia. Vi è un indispensabile da tenere in conto: calcolare la spesa, vedere se si hanno i mezzi per portare a termine l’opera, nel caso della costrizione della torre; valutare le forze a disposizione e quanti uomini ha l’avversario nel caso della guerra da affrontare.

E qual è l’indispensabile per la sequela? La disponibilità a perdere tutto, non solo i beni, ma anche la nostra vita.

Il bene da possedere, cioè, è la rinuncia ai beni e l’arte da imparare è l’arte di perdere, di diminuire, di non cadere nelle maglie del possesso, della logica dell’avere.

Facciamo nostra l’invocazione del salmista, oggi e ogni giorno della nostra vita: «Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda».