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La parabola di Dumitru: dal sogno dell’integrazione al carcere

Ogni giorno, entro in un mondo che molti preferirebbero dimenticare: il carcere. Il mio compito è incontrare i detenuti stranieri, ascoltare le loro storie migratorie, osservarne la personalità e lo stato psicofisico, per aiutarli a intraprendere un percorso educativo adeguato.

In una di queste occasioni ho conosciuto Dumitru (nome di fantasia), cittadino rumeno, detenuto per la prima volta. Doveva scontare una pena di due anni per maltrattamenti in famiglia. Fin dal primo colloquio il suo disagio era evidente: non apparteneva a quell’ambiente. Non soffriva tanto le privazioni materiali, quanto l’essere accomunato ai delinquenti. Non aveva problemi con gli altri detenuti – “sto al posto mio, senza cercare rogne” diceva – e la sua corporatura imponente incuteva rispetto. Ma i suoi occhi lasciavano trasparire dolore e umiliazione.

Dalla Romania all’Italia

Dumitru era nato in Romania orientale, in una famiglia numerosa e modesta, ma solida nei valori del lavoro. Aveva studiato meccanica in una scuola professionale, iniziando presto a lavorare e a giocare a calcio a livello semi-professionistico. La sua vita cambiò radicalmente quando decise di lasciare il suo paese natale. Come tanti connazionali, nei primi anni ’90 emigrò in Italia. Nelle Marche trovò impiego prima come muratore e poi in fabbrica. Parallelamente continuò a giocare a calcio in squadre di serie C e D.

La famiglia e il sogno della casa

Nei primi anni Duemila sposò l’amica di sua sorella. Dopo un breve periodo di lontananza, la moglie si trasferì in Italia. Arrivarono due figli e, con sacrifici enormi, la coppia riuscì a comprare una villetta. Per Dumitru fu il coronamento di un sogno: offrire benessere alla sua famiglia e dimostrare, a sé e agli altri, la propria forza di volontà. I figli crescevano integrati, tra buone scuole e attività sportive. Ma quella scalata ebbe un prezzo altissimo: niente vacanze, pochi momenti di riposo, una vita interamente dedicata al lavoro. L’unico svago, a portata di mano, era un bicchierino di alcol la sera.

Il peso delle origini

La sua abitudine non era casuale. Dumitru era figlio di una cultura segnata dalla dittatura di Ceaușescu, che aveva tolto spazi di socialità e di svago. In Romania non c’erano alternative sane al lavoro e all’alcol. Così, anche in Italia, continuava a “premiarsi” con un bicchiere, senza rendersi conto della pericolosità.

La crisi con la moglie

Nel tempo la relazione con la moglie si incrinò. Non era un uomo abituato al dialogo. Un giorno ricevette una denuncia: maltrattamenti in famiglia. Per Dumitru fu uno shock. Non riconosceva nell’alcol una parte del problema: “non bevo molto”, si ripeteva.

La condanna e il carcere

Costretto a lasciare la casa, si trasferì in affitto. Continuò a lavorare, ma dovette dividere lo stipendio tra affitto e spese. I rapporti con i figli si allontanarono. Il processo si concluse con la condanna. In carcere Dumitru si comportava bene: lavorava, rispettava tutti, ma non riusciva a rassegnarsi. La sofferenza era acuita dai problemi di salute e, infine, dal divorzio. Al momento della separazione, rinunciò alla villetta a favore della moglie e dei figli. Un gesto che poteva significare amore.

Il sogno di un nuovo inizio

Dopo l’affidamento al lavoro come misura alternativa al carcere di cui beneficiò, in libertà, aveva in mente di tornare in Romania. Lì possedeva un terreno e sognava di costruire una nuova casa, una nuova vita. “Non ho paura di lavorare”, ripeteva. Ero felice per lui: il carcere non era il suo posto. Pensavo che avesse finalmente trovato la sua strada verso una vita più serena.

La vita, però, non gli ha concesso una seconda possibilità. Poco tempo fa ho saputo che Dumitru è deceduto, per cause naturali.

Una riflessione

Le relazioni affettive sono complesse. Ci si innamora, si costruisce una famiglia, si lavora duramente per garantire benessere materiale. Ma spesso questo avviene a discapito del benessere emotivo e psicologico. Si prendono decisioni drastiche e si compiono atti che non si devono compiere. La violenza è sempre da condannare e non si può mai giustificare. Dumitru, comunque, nutriva la speranza di un nuovo inizio, e i suoi figli porteranno con sé quella stessa speranza.