ACQUASANTA TERME – “Ma dove si trova questo paese? Non l’ho mai sentito. Sarà uno di quei posti dimenticati da Dio, dove spesso vai tu!“. Mi ha detto così una mia amica al telefono, mentre mi stavo recando a Centrale, una piccola frazione di Acquasanta Terme, per seguire la Celebrazione Eucaristica e la processione in onore del Patrono Sant’Emidio, a cui sono intitolate sia la chiesa che la parrocchia.
Erano le 18:20 di Domenica 17 Agosto 2025, due giorni fa, e, mentre la luce del giorno iniziava a diventare fioca, mi guardavo intorno e osservavo lo scenario che mi si stava aprendo. Per alcuni minuti ho visto solo montagne e strade deserte; poi, all’improvviso un manipolo di case, alcune segnate dal tempo, altre in corso di ristrutturazione, e diversi cantieri, strascichi di un terremoto i cui segni sono ancora visibili. Venivo da un funerale molto affollato, che quindi sapeva di vita, di movimento, di luce. Qui, invece, mi sembrava tutto fermo, come sospeso nel tempo. E nella mia mente risuonava quella brutta espressione: “un posto dimenticato da Dio“.
Poi sono arrivata a destinazione, ho parcheggiato e sono entrata in chiesa. E lì, il Signore, attraverso tante persone e tanti gesti, mi ha ricordato – qualora ce ne fosse stato bisogno – che davvero nessun posto è dimenticato da Dio!
Me lo ha fatto capire prima di tutto attraverso i presbiteri presenti: il vescovo Gianpiero Palmieri, che ha presieduto la Santa Messa, e anche don Beniamino Ricciotti e don Giuseppe Tanziani, che l’hanno concelebrata. I primi due si erano affrettati a lasciare la Collegiata in Offida per recarsi in tempo ad Acquasanta. Dopo il funerale di don Armeno Antonini, che non era solo il vicario episcopale ma anche un amico, non deve essere stato facile, soprattutto per il vescovo Gianpiero, celebrare un’altra Messa e donare alla comunità parole di speranza. Eppure loro, per quella comunità, per quei fedeli, c’erano. E poi il parroco don Giuseppe, che nonostante l’età avanzata e le difficoltà di salute ad essa collegate, ancora persevera, forse ostinatamente o forse tenacemente, a celebrare la Messa. Anche lui, per la sua comunità, c’era.
Me lo ha fatto capire attraverso la cura della celebrazione, affidata a tanti laici della comunità. Non essendo più giovanissimo, infatti, il parroco don Giuseppe si avvale di alcuni collaboratori solerti e di buona volontà, che hanno curato ogni dettaglio della Santa Messa. Mi ha colpito in particolare il coro parrocchiale, che, non potendo contare su qualcuno che suoni uno strumento dal vivo, si è attrezzato con basi musicali che hanno accompagnato il canto.
Me lo ha fatto capire attraverso la vivacità del Complesso Bandistico Città di Acquasanta Terme “Luigi Sabatini”, che, durante i riti di Comunione, mi ha fatto sussultare con il suono potente dei suoi strumenti, e poi, durante la processione, mi ha colpito per il grande numero di giovani che la costituisce: una energia ed una vitalità uniche.
Me lo ha fatto capire un’anziana signora, di cui non conosco il nome, che, terminata la Celebrazione, è corsa via e, passandomi di fianco, mi ha detto: “Scusi, mi fa passare, per favore? Devo andare ad accendere dei lumini a casa di Stella (n.d.r. Martini), una nostra amica che è morta quattro mesi fa e che don Peppe chiamava ‘il viceparroco’, perché era una grande collaboratrice della parrocchia. Vogliamo ricordarla così“.
Me lo ha fatto capire attraverso il piccolo Vittorio Carnicelli, di 10 anni, che ha fatto la Prima Comunione lo scorso Giugno e che ha deciso di indossare l’abito bello di quel giorno, anche se era l’unico bambino vestito così e anche se doveva stare vicino al vescovo Gianpiero Palmieri e un po’ si vergognava. Mi ha detto il ragazzino: “Ho deciso io di rimettermi il vestito della mia Prima Comunione, perché una parrocchiana, Patrizia, mi ha detto che è bello vedere i bambini in chiesa, perché portano allegria, e mi ha chiesto di vestirmi così. Siccome sono stato l’unico bambino della comunità a ricevere la Prima Comunione in questa chiesa, ho pensato che avrei dovuto per forza portare io un po’ di allegria. Ero l’unico! Quindi le ho detto subito di sì e, anche se mamma e papà non potevano venire perché erano impegnati, io mi sono fatto accompagnare dai nonni”.
Me lo ha fatto capire anche attraverso un altro giovanotto, ma questa volta di ben 89 anni, Gaetano Montagnini, il quale, appena ha visto avvicinarsi la processione con la statua del Patrono, con la mano, ha fatto cenno di alzarsi ad altre due persone, sedute sull’altalena. Non ha pronunciato parola, ma in quel gesto c’era un’esortazione chiara e forte, come se avesse detto loro: “Forza! Passa il nostro Sant’Emidio! Dobbiamo onorarlo ed unirci alla processione!”. E così è stato: Gaetano, la moglie ed il resto della comitiva si sono uniti alla piccola folla radunata.
Me lo ha fatto capire attraverso il giovane Francesco Tranquilli, giovane davvero stavolta, perché di anni ne ha 19! Francesco ha ascoltato la Messa e partecipato alla processione insieme alla ragazza e, sempre insieme a lei, mi ha aiutato a scattare alcune foto, visto che ad un certo punto il mio cellulare si è scaricato. E, tra le tante foto, quando sono andata a rivederle e selezionarle, ne ho trovate alcune scattate ai fiori, alle montagne, al cielo, segno evidenti di due occhi che sanno guardare alla bellezza che è intorno.
Me lo ha fatto capire attraverso Patrizia Allevi, Annamaria Falgiani, Valentina Galli, Domenica Gaspari, Manuela Giovanotti e Clara Puleggio, quando mi hanno offerto da mangiare e da bere, quando mi hanno chiesto di partecipare alla “Sorte”, quando mi hanno invitato ad ascoltare Elio Giobbe, quando mi hanno chiesto di restare per cantare e ballare con loro, quando mi hanno offerto il basilico e quando mi hanno consigliato di cambiare la piantina, perché quella da me scelta era conciata un po’ male. Una premura ed un’accoglienza di sapevano di Vangelo.
Mi perdonerà, allora, il nostro vescovo se stavolta non riporterò le sue parole, perché l’amore per la Parola e l’annuncio di Speranza che Sant’Emidio ha portato nel mondo e di cui mons. Palmieri ha parlato nella sua omelia, in questa comunità sono già realtà. Una comunità che partecipa, una comunità che “si accontenta” dell’essenziale, una comunità che è viva, come quella di Centrale, ci ricorda che nessun posto è dimenticato da Dio. Anzi, forse è proprio nei posti meno abitati e meno serviti, in quelli più segnati dal terremotato o da altre ferite, che Dio si fa più vicino. E, se mettiamo in pratica la Sua Parola, anche l’angolo più remoto e nascosto della terra, può essere un anticipo del Regno promesso.
Foto di Francesco Tranquilli e Carletta Di Blasio










































