“Da Nicea ad oggi: ecumenismo tra memoria e futuro”: è stato il tema affrontato della 61ª sessione di formazione promossa dal Segretariato attività ecumeniche (Sae) a Camaldoli, dal 27 luglio al 2 agosto.
A partire dal 1.700° anniversario del I Concilio ecumenico di Nicea – l’unico condiviso dall’intera ecumene cristiana – si è riflettuto sul cammino verso la comunione delle Chiese e anche su alcuni nodi che le interpellano, oggi come allora, a partire dal valore della confessione di fede, al rapporto con le culture, alla relazione tra chiese e politica, fino alla dinamica della sinodalità. Una serata è stata dedicata alla tragica situazione tra Israele e Palestina. Di tutto questo parliamo con Simone Morandini, membro del Comitato esecutivo del Sae.
Quanta strada ha fatto finora il cammino ecumenico e quali sono le sfide più grandi e importanti che ancora deve affrontare oggi il cammino verso la comunione delle Chiese? Quali le difficoltà e quali le speranze?
Come sottolineava la presidente del Sae, Erica Sfredda, nel suo intervento di apertura, la memoria del Concilio di Nicea – tenutosi 1.700 anni fa e magistralmente presentato da Emanuela Prinzivalli e Fulvio Ferrario – ha portato i partecipanti alla sessione a guardare anche alle dinamiche ecumeniche del presente, proprio nel confronto con una storia ed una tradizione passata. Certo
il momento non è facile dal punto di vita ecumenico: le tensioni interne all’ortodossia si riflettono nel confronto interconfessionale e lo rallentano. Al contempo è impossibile non rilevare segni positivi, come quelli legati al pontificato di Papa Francesco ed alle dinamiche sinodali da lui attivate.
In quest’anno ci si è interrogati, ad esempio, se non sia possibile ritrovare una data comune per la celebrazione della Pasqua, ma anche se non si possa pensare ad una festa liturgica del Creatore anche per le Chiese d’Occidente (come già fa l’Oriente cristiano). Ma vorrei sottolineare che alla sessione hanno preso la parola anche voci ebraiche e musulmane (penso ad esempio a rav Jospeh Levi ed al rabbino Izzeddin Elzir), ad allargare il confronto anche aldilà dell’ecumene cristiana. Lo sguardo a tali dinamiche si è radicato proprio in una disamina anche critica degli eventi di Nicea, in cui la forza della confessione di Gesù Cristo si è intrecciata con dinamiche interecclesiali e socio-culturali complesse e talvolta contraddittorie. Il vivace dibattito tra i quasi duecento partecipanti è stato testimonianza di un fitto dialogo tra presente e passato, condotto con rigore e creatività. Del resto è questo da sempre lo stile delle sessioni del Sae, spazi di vivace confronto interconfessionale, di dialogo condotto nei lavori di sala e nei laboratori, di convivialità, di preghiera e di canto.
Una delle domande al centro della sessione è stata “Chi è Gesù per noi?”. O come disse Gesù stesso: “E voi, chi dite che io sia?”. Quali sono le risposte emerse durante la sessione a questa domanda? Quale spazio ha Gesù oggi nelle nostre esistenze e con quali ricadute? A livello, personale, comunitario, politico, sociale, culturale…
La sessione ha affrontato tali questioni in modo articolato, guardando alla storia del confronto tra le chiese (ad esempio coi contributi dei vescovi Athenagoras Fasiolo ed Erio Castellucci e del professor Lothar Vogel), ma anche a storie ed esperienze personali di testimonianza (e penso agli interventi di Alberto Annarilli, Graziella Graziano, Donatella Pagliacci, Marco Marchetti). Né ha dimenticato il rapporto tra il kerygma e le culture (Cristina Simonelli, Hanz Gutierrez, Vladimir Laiba, Chrétien Tadjikam) e quello tra fede e politica (Riccardo Saccenti e Pawel Gajewski). Perché la confessione di Gesù come Signore si esprime in forme diverse ed in molti ambiti, in parole – a partire da quelle dei Simboli (Fabrizio Bosin, Letizia Tomassone) – ed in pratiche ecclesiali. Interessante pure il fatto che le meditazioni del mattino abbiano avuto come oggetto testi che esprimono in modo diverso tale confessione (da Fil. 2 a Gv. 1, per citarne solo due).
È così che le liturgie tenutesi ogni giorno – quelle ecumeniche e quella confessionali – si sono indirizzate a Gesù, il Figlio, al Padre ed allo Spirito, ad una Trinità che è modello di unità nella diversità ed assieme fonte di pace.
Oggi viviamo in un mondo attraversato da guerre e violenze e anche in gran parte scristianizzato: come portare in questo contesto l’annuncio cristiano?
Purtroppo, le guerre e le violenze che attraversano questo nostro tempo sono in diversi contesti giustificate anche sulla base di un uso distorto dello stesso annuncio cristiano (così come di altri messaggi religiosi).
Per le Chiese, la sfida è allora quella di una conversione profonda, tesa a ritrovare tutta la radicalità di un Signore che è stato confessato come “Principe della pace”, di annunciare una parola di riconciliazione, di ricercare sempre e dovunque il dialogo, contrastando la violenza.
In questo senso il lavoro ecumenico di riconciliazione tra le Chiese così come il dialogo interreligioso assumono anche una fortissima valenza civile, di ritessitura dei tessuti di convivenza entro la famiglia umana. È questa una dimensione che il Sae ha sottolineato fin dai suoi primi passi, sulla base dell’ispirazione della sua fondatrice, Maria Vingiani (1921-2020), che prima di essere pioniera di cammini ecumenici, era pure stata assessore alla cultura nella sua Venezia. E tale pratica è anche al contempo testimonianza – che in alcuni contesti si paga col sangue – delle potenzialità pacificanti della fede.
Durante la sessione vi siete occupati anche di Israele e Palestina. Cosa possono fare le Chiese cristiane di fronte al massacro che sta avvenendo Gaza?
Gli interventi di Anna Foa e Izzeddin Elzir hanno sottolineato tutta la drammaticità della situazione di Gaza e l’inaccettabilità dell’uso della violenza – anche contro civili – da parte del governo Netanyahu. Non è mancata la memoria dei terribili eventi del 7 ottobre 2023, ma essi non possono certo giustificare il massacro di un’intera popolazione.
Due compiti essenziali vedo per un’azione comune delle Chiese: da un lato, continuare a chiedere la cessazione della violenza e l’avvio di percorsi di pace (a Gaza come in altri contesti); dall’altro, la tenace ricerca di spazi di trialogo ebraico-islamo-cristiano, per promuovere riconciliazione e contrastare la diffusione di islamofobia ed antisemitismo.
È stata presentata anche la nuova Traduzione letteraria ecumenica del Nuovo Testamento: questo lavoro comune può aiutare a progredire nel cammino ecumenico?
Luca Mazzinghi e Luca Maria Negro hanno sottolineato come la stessa opera di traduzione sia stata ecumenicamente significativa, essendo stata condotta da un ampio gruppo che vedeva la presenza di biblisti delle tre confessioni. Adesso il testo è affidato ai credenti delle diverse Chiese, come uno strumento in più per ritrovare quel comune radicamento nella Scrittura che costituisce la radice di ogni cammino verso la comunione cui il Signore ci chiama e lo Spirito ci guida.
