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Sud Sudan: Ranathunga (Amref), “il Paese immaginato 14 anni fa non si è realizzato”

(foto: Amref)

“Il 9 luglio non sia solo una data simbolica: è tempo di consapevolezza e azione. Il Sud Sudan rischia il collasso”. A lanciare l’allarme è Moshin Ranathunga, responsabile dei Programmi di Amref Health Africa in Sud Sudan, in visita in questi giorni alla sede italiana dell’organizzazione. A 14 anni dall’indipendenza, dichiara Ranathunga, “le promesse di autodeterminazione, dignità e servizi si sono affievolite”, mentre la popolazione “vive tra frustrazione, disservizi e tagli agli aiuti internazionali”. “Il Sud Sudan – ricorda Ranathunga – è nato con grandi speranze: il 9 luglio 2011 fu un giorno di festa, energia e futuro. Ma oggi le scuole, gli ospedali e i servizi sono rimasti incompleti o inaccessibili”. Tecnicamente “non c’è una guerra aperta, ma la situazione è estremamente fragile – spiega -. Il Sud Sudan è un Paese complesso: alcune aree sono sicure, ma le tensioni stanno aumentando. Basti pensare alle conseguenze del conflitto in Sudan: il Sud Sudan ha accolto più di un milione di rifugiati in fuga dalla guerra, pur dovendo fare i conti con milioni di propri cittadini ancora segnati da decenni di instabilità e carenza di risorse. Non c’è una guerra tra comunità, ma cresce la frustrazione verso il sistema e l’indifferenza delle istituzioni. Le elezioni democratiche sono state posticipate più volte – l’ultima al 2027 – e molte persone cominciano a dubitare che vedranno mai un vero cambiamento. I lavoratori pubblici non percepiscono lo stipendio da oltre 14 mesi”.
Sul piano sanitario, la situazione è drammatica: “Molte strutture risalgono a 30-40 anni fa, alcune senza tetto o con fori di proiettile. In certi villaggi si partorisce sotto un albero. Come può funzionare un sistema sanitario senza fondi e senza personale?”, chiede Ranathunga. Decisivo il ruolo degli aiuti internazionali, ora drammaticamente in calo: “Gli Usa garantivano fino al 90% dei fondi per sanità e politiche pubbliche. Ora quei finanziamenti sono quasi scomparsi. Abbiamo perso anche il supporto alla lotta contro la tubercolosi. Alcuni pazienti sono isolati, senza cure né cibo”. “Strutture sanitarie, politiche pubbliche, persino il carburante per i generatori degli ospedali erano garantiti da quei finanziamenti. Ora non più. Le poche Ong che ancora resistono, come Amref, ricevono richieste sempre maggiori, con risorse sempre più limitate. E questo rende tutto più difficile. La frustrazione si è trasformata in rabbia”, racconta. Eppure la speranza resta: “Anche 120 euro possono cambiare un villaggio. Chiunque faccia qualcosa, anche portare una scatola di paracetamolo, è parte della speranza”, afferma Ranathunga. “Il Sud Sudan ha una forza interna che resiste: comunità resilienti, operatori locali formati, Ong che fanno molto con poco. Ma serve un impegno rinnovato: se il mondo continua a voltarsi dall’altra parte, la speranza si spegnerà”