Giovanna Pasqualin Traversa
“Quello che emerge è soprattutto un’assoluta mancanza di empatia. Quando ci chiediamo come sia possibile sterminare la propria famiglia, questo avviene perché in personalità con disturbi schizoidi o schizofrenici si verifica proprio un deficit di empatia e una mancanza di riconoscimento delle emozioni altrui. Anche di fronte alla sofferenza dell’altro è come se il cervello andasse in tilt. Ma questo non avviene da un momento all’altro; avviene perché mancano e sono probabilmente mancati tutta una serie di elementi affettivi e relazionali che comunque predispongono a riconoscere l’altro come una persona con emozioni, pensieri, atteggiamenti anche diversi dai nostri”. Non ha dubbi Noemi Grappone, che abbiamo raggiunto all’indomani della confessione di Riccardo, il diciassettenne di Paderno Dugnano, nel Milanese, che nella notte tra sabato e domenica ha accoltellato a morte i genitori e il fratello minore. Ma al di là del caso specifico,
“noi viviamo in un contesto in cui l’empatia non è consentita”,
prosegue Grappone, psicologa psicoterapeuta Emdr practitioner, e membro di Emdr Italia. L’Emdr (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è uno strumento terapeutico impiegato nel trattamento di disturbi legati ad eventi stressanti e/o traumatici: violenze, incidenti, gravi lutti, guerre. “La nostra società – osserva – è improntata piuttosto alla logica dell’indifferenza, oppure della violenza e della sopraffazione dell’altro. Più che interrogarsi su che cosa sia successo, occorre riflettere sul contesto generale in cui viviamo – all’interno del quale la famiglia è una goccia – e nel quale crescono i nostri figli.
Un contesto segnato da dinamiche di lotta, violenza e sopraffazione, in cui l’empatia, l’aiuto, la solidarietà vengono considerati, anziché valori, forme di debolezza”.
“Non ho un vero dialogo di nessuno, non mi sento compreso, mi sento solo anche in mezzo agli altri”, avrebbe spiegato Riccardo ai carabinieri. Una forma di disagio che non è stata intercettata?
E’ possibile, ma non conosciamo il contesto in cui è cresciuto, né la sua storia o la sua famiglia.
Da quanto si apprende dai media, il ragazzo possiede grandi abilità matematiche, tanto che la mamma diceva di lui “il mio Einstein”. E’ ipotizzabile che sia andato “in tilt” perché avvertiva su di sé eccessive pressioni e aspettative?
Magari invece coltivava interessi specifici di tipo astratto proprio per distaccarsi dal mondo reale fatto di relazioni, di amici, di affetti, di “sballi” tipici degli adolescenti. Può essere verosimile che si nascondesse dietro questi ambiti particolari per dissociarsi anche rispetto alla realtà, preferendo attività solitarie a relazioni sociali significative ed avendo poco accesso ad esperienze di piacere tipiche dell’adolescenza? Forse. Ad oggi abbiamo pochi elementi per un’analisi, rimaniamo per ora sul terreno delle supposizioni.
Quali sono allora i campanelli d’allarme che i genitori, in generale, non dovrebbero sottovalutare?
Il distacco, la freddezza, la difficoltà/impossibilità dei ragazzi ad esprimere le proprie emozioni e a comprendere quelle degli altri, il rigido autocontrollo, la tendenza all’isolamento e alla chiusura in sé. Talvolta anche alcuni comportamenti bizzarri per i quali, magari, vengono evitati dai coetanei. Possono comparire anche sintomi a livello di disturbi dell’umore: fasi bipolari con allucinazioni e pensiero disorganizzato che si alternano a periodi di depressione classica. Deve mettere in allarme, in una fase come l’adolescenza in cui si basa tutto sull’interesse per il mondo esterno, la mancanza di interesse per i rapporti sociali e per attività di gruppo come fare shopping, andare ad una partita o ad un concerto. Si tratta spesso di ragazzi che, per le cosiddette “dinamiche di rango”, evitano la competizione e il confronto con gli altri rispetto ai quali si sentono o troppo superiori o nettamente inferiori.
Ma perché Riccardo ha creduto, come ha detto agli inquirenti, che uccidendo la famiglia si sarebbe liberato del suo malessere? E perché anche il fratello minore?
La mente umana cerca sempre dei colpevoli.
Formarsi un’immagine di colpevole significa avere qualcuno contro cui combattere. Magari esistevano “dinamiche di rango” anche con il fratellino, ma sono sempre supposizioni. Non conosciamo la storia della famiglia, se si siano verificati cambiamenti, traumi; in questo scenario però io punterei sull’empatia. Secondo me, la chiave di lettura, come ho già detto, rimane la mancanza di empatia. Quali siano le ragioni, le interpretazioni, le speculazioni psicologiche o meno che possiamo fare,
arrivare ad una strage come questa significa avere una parte di sé – la parte morale e la parte empatica – del tutto inaccessibile.
Zero empatia, quindi. Da che cosa può dipendere?
La mancanza di empatia può essere legata a fattori ambientali ma anche a componenti genetiche per le quali alcune persone potrebbero essere predisposte ad avere meno empatia di altre. E’ attraverso l’intelligenza emotiva che diventiamo capaci di riconoscere le nostre emozioni e anche quelle dell’altro, diveniamo capaci di rispecchiamento. Ma solo se questo ci viene insegnato da piccoli. Il bambino si regola fin dalla più tenera età guardando il viso della madre che gli dà la misura di quello che è “giusto o sbagliato”, che è bene o male. Attraverso il volto della madre il piccolo inizia la sua forma di emulazione emotiva. Nel momento in cui si verificano anomalie da questo punto di vista, lì inizia la difficoltà a riconoscere le emozioni dell’altro. Forse nella vita di questo ragazzo è successo qualcosa che ha mandato in tilt questo sistema di riconoscimento dell’altro. Tuttavia, al di là di ogni supposizione, per me rimane un gravissimo problema che interpella tutti noi.
Che cosa facciamo, come società, per promuovere l’empatia?