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Intervista al Diacono Giovanni Vai: “Ritengo il Diaconato una vera Grazia e ringrazio il Signore per avermela donata”

DIOCESI – Riprendiamo il nostro viaggio alla scoperta dei Diaconi che operano nella nostra Diocesi. Questa settimana abbiamo intervistato Giovanni Vai, che appartiene all’Unità Pastorale Sacro Cuore e Regina Pacis di Centobuchi nella Vicaria di San Giacomo della Marca e che da oltre vent’anni dona il suo prezioso contributo alla Cooperativa Sociale del Biancazzurro a San Benedetto del Tronto.

Prima di tutto ci racconti un po’ di lei: ha avuto una vita ricca di eventi e di trasferimenti in giro per l’Italia …
È proprio vero! Ci sarebbe tanto da raccontare, ma cercherò di essere breve. Provengo da una famiglia molto umile: mio padre era un bracciante e mia madre badava a me e mio fratello e lavorava nei campi durante le stagioni agricole. A diciassette anni decisi di lasciare il mio paese San Giorgio di Lomellina (PV), facente parte della Diocesi di Vigevano, per arruolarmi al Corso Allievi Sottufficiali dell’Esercito Italiano a Viterbo che mi tenne impegnato per un anno e mezzo, poi ottenni la Specializzazione nella Scuola di Fanteria a Cesano di Roma. Essendo divenuto capocorso, mi assegnarono al 52° Reggimento Fanteria d’Arresto di Tarcento (UD). Ma non trovai pace neanche lì, perché, dopo soli quattro mesi, venni richiamato a Roma per prestare servizio allo Stato Maggiore dell’Esercito. Essendo nel frattempo divenuto Sergente Maggiore, alloggiavo al Castro Pretorio, proprio nelle vicinanze del Quirinale. Rimasi lì per oltre vent’anni con la mansione di segretario dell’Ufficio Reclutamento, Stato e Avanzamento dello Stato Maggiore dell’Esercito, fino a divenire Maresciallo Maggiore. Nel 1986 mi congedai e venni a San Benedetto del Tronto per svolgere la mia nuova professione presso l’azienda Italiana Manifatture, prima ad Acquaviva, poi a Colonnella.

Come è nata la sua vocazione?
Un prozio di mio padre apparteneva all’Ordine dei Frati Minori. Si chiamava Padre Alberto Pagani e per un periodo fu anche alla Custodia di Terra Santa. Quando era in Italia, dalla sua città, Torino, veniva a casa nostra a trovare i parenti. Fu lui a trasmettermi una spiritualità che ancora oggi porto con me. Il suo modo di fare e le preghiere in latino che mi insegnava mi spinsero ad andare a Messa non solo la Domenica, ma anche nei giorni feriali, e a fare il chierichetto per molti anni, da quando avevo cinque anni fino a che non lasciai il mio paese. Durante gli anni della mia professione nell’Esercito, per ragioni di servizio, non ho più partecipato alla Messa con assiduità. Tuttavia mi riavvicinai alla vita della Chiesa in una particolare circostanza. Ci fu in quegli anni la strage degli aviatori a Kingdom in Africa, un evento che mi colpì moltissimo. Il mio cappellano militare della Caserma del Castro Pretorio in quegli anni era don Nello Tranzocchi che successivamente sarebbe stato vicario generale della Diocesi di Camerino, il quale celebrò una Messa in suffragio di questi poveri militari deceduti in un giorno feriale. Le parole dette dal sacerdote durante l’omelia mi colpirono particolarmente e mi riavvicinai alla Chiesa. Quando giunsi all’Italiana Manifatture, i fratelli Castelletti, proprietari dell’azienda, mi diedero un alloggio in zona Santa Caterina e quindi iniziai a frequentare la parrocchia di Sant’Antonio da Padova, dove, dopo qualche anno, mi fu chiesto di diventare catechista. In seguito padre Ubaldo Sorbi mi propose di divenire Ministro Straordinario dell’Eucaristia e, in quella veste, mi fu chiesto anche di aiutare padre Luigi Foresi nel portare la Comunione ai malati della Clinica Villa Anna. Ricordo che, nonostante mi costasse molto sacrificio, lo facevo volentieri. Mi alzavo al mattino alle sei per essere in Chiesa alle 6:30, recitavo le Lodi Mattutine insieme ai Frati e poi alle 6:55 mi recavo presso l’ospedale. Tornavo a casa verso le 8:00 circa e poi andavo al lavoro. Fu un’esperienza molto fruttuosa per me. Durante la fine del suo mandato pastorale, il Vescovo Giuseppe Chiaretti iniziò a promuovere il diaconato anche per la nostra Diocesi che all’epoca poteva contare solo su due diaconi permanenti molto anziani. Padre Ubaldo allora mi segnalò per il Diaconato Permanente. Pertanto, se devo dirle come è nata la mia vocazione, le confesso che non c’è stato un momento in particolare in cui è avvenuta, bensì si è trattato di un cammino che un po’ alla volta mi ha condotto fino a Dio. Se proprio devo stabilire un momento, direi che forse la svolta più importante c’è stata quando padre Luciano Rossi mi portò a Medjugorje e rimasi profondamente colpito dal clima di spiritualità e preghiera che tutti vivemmo in quel luogo.

Come è stata accolta la sua vocazione in famiglia?
Io mi sono sposato nel 1980 con Giacinta Maria Tatti. Mia moglie, che è di origini sarde, è stata sempre molto credente. Pochi anni dopo la nostra venuta a San Benedetto del Tronto, insieme diventammo professi dell’Ordine Francescano Secolare e adepti del Cenacolo dell’allora Beata – ora Santa – Angela da Foligno. Contestualmente iniziammo a servire la Parrocchia di sant’Antonio come catechisti. Perciò, quando le manifestai il desiderio di accettare la proposta di Diaconato, anche se eravamo molto impegnati con il lavoro e con la nostra giovane figlia Stefania che all’epoca aveva solo 16 anni, non ci fu da parte sua alcuna esitazione, anzi sostegno ed incoraggiamento. Fu così che nel giorno di Pentecoste del 1997 fui ordinato Diacono Permanente dal nuovo Vescovo diocesano Mons. Gervasio Gestori, insieme a Walter Gandolfi, Antonio Barra e al defunto Giovanni Spina. Proprio lo scorso anno, insieme a Walter e Antonio, abbiamo festeggiato i venticinque anni di Ordinazione Diaconale.

Quali servizi ha svolto per la Diocesi in questi anni?
All’inizio ho svolto il mio servizio nella mia parrocchia, quella di Sant’Antonio da Padova in San Benedetto del Tronto, ma solo per un paio di mesi. Subito dopo come incarico pastorale ho operato per due anni nelle parrocchie di Civitella del Tronto, poi per altri due anni nella parrocchia San Giovanni Evangelista di Colonnella e per lungo tempo, fino al 2014, nella parrocchia Sacra Famiglia di Ragnola. Otto anni fa, infine, fui mandato a Centobuchi, quando l’Unità Pastorale Sacro Cuore e Regina Pacis ancora non c’era. E sono tuttora ancora qui.

Accanto al servizio pastorale svolge da molti anni un servizio prezioso presso la Cooperativa Sociale del Biancazzurro di San Benedetto del Tronto. Come sta vivendo questa esperienza?
Ho vissuto da sempre con grande gioia l’impegno al Biancazzuro, una bella scommessa che sto portando avanti ancora oggi dopo 25 anni con il supporto del gruppo Unitalsi. L’esperienza del Biancazzurro, infatti, è nata nel 1997. L’anno dopo, nel 1998, sono stato nominato presidente della Cooperativa e sono rimasto tale fino al 2009. Successivamente, dal 2010 in poi, sono diventato vicepresidente ed amministratore delegato, mentre il presidente è Sabatino Di Serafino che attualmente è anche nel direttivo nazionale dell’Unitalsi. La nostra Cooperativa da tanti anni opera in regime di convezione con l’Ente Pubblico per il benessere delle persone con disabilità. La struttura ospita un centro diurno socio-riabilitativo, una casa famiglia per disabili psico-fisici e la sede dell’Unitalsi Diocesana. Prima della pandemia a Natale e a Pasqua il vescovo Carlo Bresciani veniva a farci visita e a presiedere una Celebrazione Eucaristica, mentre don Ulderico Ceroni veniva a dire Messa ogni mese. Ora, purtroppo, siamo ancora sottoposti ad alcune restrizioni anti-Covid, quindi non è ancora possibile riprendere a vivere alcune iniziative, però resta sempre attiva l’assistenza spirituale agli ospiti e agli operatori del Biancazzurro sia da parte mia che da parte del diacono Luciano Caporossi che in questi ultimi tempi mi sta dando una mano. In tutti questi anni grande è il supporto che ho dato alle persone che ho avuto il piacere di conoscere in questa Cooperativa, ma devo ammettere che è ancora più grande la ricchezza interiore e spirituale che il Biancazzurro ha portato nella mia vita.

Qual è oggi la sfida maggiore del diaconato permanente?
Con l’accorpamento delle parrocchie e l’avvento delle unità pastorali, sarà inevitabile per alcune comunità essere rette dai Diaconi. Forse all’inizio c’erano delle resistenze perché non si conosceva bene la figura del Diacono, però in ogni posto in cui sono andato sono sempre stato ben accetto dalle varie comunità che ho guidato. Attualmente resistenze non ne vedo, almeno da parte dei fedeli. La sfida maggiore, secondo me, riguarda le difficoltà familiari. Io personalmente ho una situazione abbastanza complicata: mia madre di 101 anni è a letto e non è autonoma e mia moglie ha una malattia che la rende invalida al 100%, quindi entrambe hanno bisogno di supporto. In alcuni casi, come per me in questo momento, conciliare i doveri familiari con il mandato pastorale o i servizi a cui si è stati assegnati, non è semplice. Nonostante ciò, ritengo il Diaconato una vera Grazia. Ringrazio perciò il Signore per avermela donata perché il Diaconato – così come è stata una scoperta per il popolo di Dio – lo è stata anche per noi Diaconi. Speriamo di poter proseguire così ancora per molti anni.