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Sorelle Clarisse: Santità e perfezione

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Sembra quasi “accerchiarci” il Signore, oggi, non darci scampo con una Parola a prima vista dura e impossibile.
Da un lato, siamo stretti dal versetto iniziale della prima lettura, tratta dal libro del Levitico, che ci chiede «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo».
Dall’altro lato, nell’ultimo versetto del Vangelo di Matteo, e quindi a chiusura di tutta la liturgia della Parola di questa domenica, leggiamo: «…siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Lascia quasi senza fiato, forse ci fa paura una tale richiesta di santità e perfezione da parte del Signore: siate santi perché io, il Signore, sono santo; siate perfetti come è perfetto il Padre vostro.
Ma come poter arrivare alla santità e alla perfezione di Dio? Ma soprattutto, come può il Signore chiederlo a noi che siamo così fragili e limitati, così umani?
E infatti, in realtà, il Signore non lo fa. Non ci viene chiesto di raggiungere la stessa quantità di perfezione e santità di Dio, ma di essere perfetti e santi secondo lo stile di Dio, secondo quell’amore che il Signore è venuto a donarci.
Ma che tipo di amore è?
Leggiamo insieme qualche versetto del Vangelo: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. […] Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. […] … se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?».
La santità, la perfezione, quelle che il Signore ci chiede, passano attraverso l’attenzione al fratello. L’amore che Gesù ci testimonia e ci chiede è un amore libero, gratuito, universale, continuo, un amore non condizionato da questioni etiche e nemmeno da ragioni di reciprocità, ma un amore in perdita, che continua ad amare anche quando non è amato. «Il Padre vostro che è nei cieli», scrive ancora Matteo nel Vangelo, è infatti colui che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti», su tutti, senza distinzioni o preferenze.
Certo che, anche tutto questo, però, potrebbe non lasciarci tranquilli…ancora troppo arduo per noi questo orizzonte.
Ma leggiamo ancora, questa volta dalla seconda lettura tratta dalla prima lettera di San Paolo alla comunità di Corinto: «Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?».
Questo ci dice che l’amore che il Signore ci chiede non può essere frutto solo del nostro sforzo; divento capace di amare perché mi sento amato da Dio, faccio esperienza del suo amore, della sua misericordia, della sua tenerezza, esperienza di un Dio, come canta il salmista che «non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe», un Dio che «salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia».
Divento capace di amare, quindi, non perché sono un eroe ma perché il Signore mi abita, faccio esperienza della sua presenza.
Mosè e il popolo di Israele lo hanno sperimentato, Paolo l’ha sperimentato, i discepoli di Gesù l’hanno sperimentato, la Parola oggi ce lo testimonia.
Affidiamoci, allora, anche noi, come loro, alla Parola del Signore, non manchiamo di aprirle orecchio e cuore affinché, riconoscendo l’amore che Dio ha per noi, possiamo osare l’amore incondizionato verso i fratelli.
Come scrive San Giovanni: «Chi osserva la Parola di Gesù Cristo, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto».