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Intervista al maresciallo Elbano Bovara: il generale Dalla Chiesa, le brigate Rossi e l’impegno in parrocchia

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Maresciallo dei Carabinieri in pensione con alle spalle ben 85 primavere, Giuseppe Elbano Bovara è uno dei Sambenedettesi più attivi della città. Conosciamolo meglio. ‘

 

Maresciallo, pochi giorni fa abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. Lei ha vissuto i tragici anni della Seconda Guerra Mondiale. Cosa ricorda?
Io sono del 1937, un anno prima che scoppiasse il conflitto, quindi all’epoca ero un bambino, ma ricordo molto bene alcune vicende. Ricordo, ad esempio, che, dopo una certa ora, non era possibile stare nel tratto di strada dalla nazionale al mare. Molti quindi, appena iniziava il coprifuoco, si dirigevano lungo le strade che portavano verso l’interno. Alcuni Sambenedettesi, come i miei familiari, per non fare avanti e indietro, si erano sistemati in alloggi di fortuna lungo le strade dell’interno. Ricordo anche che eravamo nel mezzo di una linea di fuoco: nel vicino Abruzzo, infatti, c’era un fronte da cui gli Alleati attavano i presidi italo-tedeschi e noi eravamo al centro. Quando sentivamo il suono delle sirene, io e i miei amici scappavamo ad infilarci dentro ad una trincea che nostro padre ci aveva indicato, ovvero un fossato lungo la strada dove si ritrovavano con tutti i bambini della mia età. Ricordo anche la grande gioia dopo la liberazione da parte degli Alleati e persino qualcuno che all’improvviso si è scoperto partigiano all’improvviso!

Perché ha scelto di entrare nell’Arma?
Il fidanzato di mia sorella era un carabiniere: vedendo le mansioni che svolgeva, mi appassionai all’Arma e devo dire che, grazie a questo lavoro, il Signore mi ha fatto realizzare tutti i miei desideri, da vicebrigadiere fino a maresciallo.

Tra le tante esperienze significative della sua vita professionale c’è l’incontro con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Cosa ricorda?
Proprio recentemente sono andati in onda su Rai 1 quattro episodi sul Generale Dalla Chiesa e mi sono tornati in mente tanti ricordi legati a quegli anni.
Nel 1974 ero comandante della stazione dei Carabinieri di Cavallermaggiore, in provincia di Cuneo e sono stato testimone della storia di quegli anni. Il generale Dalla Chiesa all’epoca era comandante della Brigata Carabinieri di Torino e fortemente impegnato nella lotta contro le Brigate Rosse.
Un giorno venne a visitare a sorpresa la nostra caserma. In quel periodo il comando stazione occupava un vecchio stabile annesso alla chiesa storica di Santa Teresa, da anni chiusa senza alloggio di servizio per il comandante. In un pomeriggio del mese di maggio, il generale, con il solo autista, suonò il campanello. Ad aprire fu il carabiniere Ollari di servizio nella caserma, il quale lo informò che il comandante era ancora nel suo alloggio fuori caserma. Dalla Chiesa ordinò di chiamarmi subito e nel frattempo iniziò a visitare i vari locali del comando: nel cortile interno notò, sotto la tettoia, una Simca 1000 e trovò la chiave della porta carraia inserita nella toppa.
Dunque l’autovettura e la chiave: due cose che non dovevano essere dove si trovavano e quindi costituivano due infrazioni al regolamento. Appena giunsi in caserma, trovai il generale seduto dietro la mia scrivania con il mano il registro dove venivano segnati i servizi relativi al mese in corso. In quel periodo il personale in servizio a quel comando era deficitario del 50%: quattro militari compreso il sottoscritto, a fronte di otto previsti dall’organico.
Dopo avermi chiesto se l’autovettura in cortile fosse autorizzata dal comando superiore a poter sostare lì e come mai la chiave fosse inserita nella toppa della serratura interna, ascoltò con noncuranza le mie giustificazioni – per la verità sapevo che si trattava di una causa persa già in partenza – ed aggiunse anche un’altra contestazione: mi fece notare che a metà mese avevo svolto solo se 13 servizi esterni. Il tutto con fare autoritario ed inquisitorio, tanto che decisi di rimanere in posizione di attenti per tutto il tempo, rispondendo con monosillabi, quali “Comandi!” o “Si, signore!”.
Il generale, battuto un pugno sulla scrivania, sbottò con un “Sì, signore, un ….!” e aggiunse una parolaccia. Si diresse immediatamente verso l’uscita, dove lo aspettava l’autista a bordo della sua Giulia. Telefonai subito al comando dell’allora Tenenza di Servigliano, informandolo sulla presenza del generale in zona e sulle osservazioni che avevo ricevuto. Mi aspettavo una punizione certa per le giuste osservazioni che Dalla Chiesa aveva mosso per l’autovettora e le chiavi incustodite, meno che per il servizio che era più di quanto l’organico mi consentisse!
Giorni dopo giunse la circolare circa le ispezioni effettuate nei vari comandi con le insufficienze riscontrate dal generale: Cavallermaggiore nella circolare non veniva menzionata. Capii solo dopo che Dalla Chiesa non aveva potuto dirmi bravo per i servizi molto più numerosi di quelli riscontrati negli altri comandi, però aveva sorvolato sull’autovettura e sulla chiave. Apprezzai davvero molto in quella circostanza non tanto il generale severo, bensì l’uomo che aveva accettato le mie giustificazioni.
Del generale Dalla Chiesa voglio anche dire un’altra cosa: era anche molto rispettoso dei ranghi; Incuteva timore a tutti, ma di fronte ai suoi superiori era egli stesso timoroso. Un uomo dello Stato che rappresentava lo Stato e rispettava lo Stato.

Come ha vissuto quel periodo storico che ha segnato l’Italia così brutalmente?
Sinceramente ho vissuto quegli anni con molto timore: spesso noi carabinieri eravamo impiegati nei posti di blocco, quindi costantemente esposti al rischio e ogni tanto qualcuno veniva a mancare mentre era in servizio. Un pagina davvero brutta della storia italiana di cui sono stato testimone diretto. Però, oltre ai fatti tristi, a volte tragici, ho potuto assistere anche allo sviluppo della nostra nazione e, in particolare, di quel centro della provincia di Cuneo.
Il comandante di una stazione, infatti, all’epoca doveva intervenire nelle situazioni più disparate ed era un punto di riferimento nella comunità, un rappresentante autorevole dello Stato, ma allo stesso tempo vicino alle persone. Ricordo che molti cittadini venivano da me anche per questioni private. Una volta, ad esempio, una signora venne a chiedermi aiuto per far congedare il figlio militare: suo marito era malato e non c’era nessuno che potesse prendersi cura dell’azienda. Decisi di scrivere al Ministro della Difesa dell’epoca, il quale capì la situazione e liberò il ragazzo dai suoi impegni militari per farlo tornare in famiglia. Ricordo anche un pover’uomo che venne da me a raccontarmi che la moglie lo aveva tradito: andai a parlare con la moglie, convincendola ad interrompere la relazione con l’amante e a trasferirsi in una località vicina dove avrebbero potuto ricominciare una nuova vita, lontana dal terzo incomodo. C’erano situazioni molto spiacevoli, come furti, rapine ed incidenti stradali. In quest’ultimo caso, quando un giovane moriva e bisognava avvisare i genitori, io ero sempre molto preoccupato, perché non sapevo come dare una notizia del genere. C’erano però anche delle belle occasioni, come quando venivo invitato alle cerimonie di tutto il paese: in genere chiamavano il sindaco, il parroco, il medico del paese e il maresciallo. Non le dico a quante feste ho partecipato! Oggi questo non sempre avviene; credo però che una cosa sia rimasta immutata nel tempo: i Carabinieri, con le risorse che hanno, fanno sempre il miglior servizio possibile.

Terminata la carriera nell’Arma, da pensionato non è certo stato a riposo! Grande, infatti, è stato il suo impegno civico in diverse circostanze. Ci vuole raccontare qualche iniziativa di cui è stato protagonista?
Sì, in effetti le esperienze accumulate nell’Arma in trent’anni di servizio mi hanno consentito di avere una vita attiva anche da pensionato. Dopo solo tre giorni di pensione, infatti, sono stato chiamato dall’allora onorevole Giuliano Silvestri a dirigere la sua segreteria politica per dodici anni ed in seguito anche quella dell’onorevole Gianluigi Scaltriti per altri dieci anni. Questi incarichi delicati e pieni di responsabilità non mi hanno impedito di seguire i miei figli nei loro studi, di essere eletto nel Consiglio d’Istituto dell’I.T.C. Capriotti della città per sette anni come consigliere e per quattro come presidente e di ricoprire la carica di presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri di San Benedetto del Tronto per ben ventuno anni e del cui direttivo sono ancora membro. In tale veste mi sono occupato di far erigere nella nostra città alcuni monumenti che ritengo di alto valore simbolico: il monumento al vicebrigadiere Salvo D’Acquisto presso l’omonima rotonda di Porto d’Ascoli e quello al brigadiere Fileni in località Ponterotto. Inoltre ho collaborato anche alla realizzazione del monumento ai caduti di Nassiriya nella rotatoria di viale dello Sport e quello intitolato al maresciallo Nardone e al carabiniere Ceci sito presso piazza Nardone. Per quanto riguarda la politica, invece, devo dire che la mia carriera si è fermata alla carica di vice presidente del primo Comitato di Quartiere Ragnola! Scherzi a parte, anche se mi sono occupato della campagna elettorale degli onorevoli per i quali ho lavorato, non ho mai strizzato l’occhio alla politica.

Oltre a servire l’Arma, per molti anni ha servito anche la Chiesa. In che modo?
Ha proprio ragione! La parola servire è quella giusta sia in un ambito che nell’altro. Tutti siamo chiamati a servire Dio e a dare testimonianza della nostra fede anche fuori dagli edifici sacri: nel luogo in cui svolgiamo il nostro lavoro, quando siamo con i nostri amici, in tutti i momenti che viviamo durante la nostra giornata. Nella mia parrocchia, la Sacra Famiglia, sono stato ministro delle letture e segretario del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Per sei anni poi sono stato segretario diocesano del Movimento dei Cursillos di Cristianità e, durante il mandato pastorale del vescovo Gervasio Gestori, sono stato anche delegato sinodale della mia parrocchia. Senza avere la pretesa di essere preso come esempio, spero però nel mio piccolo di aver testimoniato quanto sia possibile e bello dedicare alla comunità la propria vita, ovvero tempo, capacità e passione.