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Sorelle Clarisse: Io non lo conoscevo…

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

“L’uomo è simile ad una grossa barca carica di tesori. Essa naviga su un mare in tempesta, ad un certo momento la burrasca si intensifica a tal punto che bisogna alleggerire l’imbarcazione, gettando in acqua ciò che si può…mentre però nel mare tutti i tesori si perdono, Dio conserva e restituisce tutto ciò che gettiamo in Lui”.
Giovanni Battista ha una sua esperienza di Dio, ha una sua aspettativa sul Messia: lui grida ed annuncia un Messia che arriverà in termini dirompenti, di violenza, di giustizia, di grandezza.
Invece arriva Gesù, lo abbiamo visto domenica scorsa, un Gesù che si mette in fila con tutta l’altra gente per essere battezzato proprio dallo stesso Giovanni. Nessun atto dirompente, nessuna apparizione miracolistica, tanto che Giovanni si domanda “io ho bisogno del tuo Battesimo e tu chiedi di essere battezzato da me? Ma sei proprio tu il Messia che aspetto, che aspettiamo?”.
Giovanni ha bisogno di “svegliare” lo sguardo interiore per riconoscere nella banalità del quotidiano la presenza del Messia. Deve alleggerire la sua imbarcazione, gettare in Dio, in quel Dio che è proprio lì davanti a lui e non nel Dio che si è costruito, ciò che non può più essere tenuto stretto sulla barca, altrimenti la barca affonderebbe.
Ed ecco, allora, la sua prima affermazione, che apre il Vangelo di oggi: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». Un Dio che, mischiandosi tra la folla di penitenti al fiume Giordano, vuole farsi conoscere come colui che condivide e assume su di sé tutta l’oscurità e la fragilità del mondo, come colui che si sporca le mani, non guarda dall’alto ma redime e salva dal basso, in piena solidarietà con gli uomini e la loro storia.
Dice Giovanni «Io non lo conoscevo…», io non conoscevo questo Dio, non conoscevo un Dio piccolo, mansueto, che non vuole imporsi, ma chiede solo di essere accolto come segno tangibile della tenerezza di Dio verso l’uomo.
«Io non lo conoscevo…», ripete ancora Giovanni ma «ho visto e ho testimoniato che questi – proprio questo Gesù di Nazareth, così come mi si è presentato – è il Figlio di Dio».
Giovanni ha visto venire verso di lui un Dio che gli si fa incontro, presente, prossimo, vicino. E lo testimonia, «…questi è il Figlio di Dio…»: e può testimoniarlo perché ammette di non conoscere e si pone all’ascolto, tende l’orecchio, mette in discussione tutte le certezze che lo hanno sostenuto fino a questo momento.
Apre il cuore alla voce dello Spirito e grida che il peccato è perdonato. Come scrive padre Ermes Ronchi, Gesù è venuto a togliere il velo che oscurava il vero volto di Dio. Un Dio agnello! Non l’Onnipotente ma l’ultimo nato del gregge; non il giudice supremo, ma il piccolo animale dei sacrifici. Peccare significa proprio non accettare questa tenerezza e umiltà di Dio.
Giovanni Battista le ha sperimentate e toccate con mano, ora sta a noi, come canta il salmista, non tenere chiuse le labbra perché, come scrive il profeta Isaia, la sua salvezza, la salvezza di questo Dio, arrivi «fino all’estremità della terra».