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Sorelle Clarisse: “Come si fa ad accettare una croce?”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

Spesso ci troviamo a pensare che il Signore ci chieda cose troppo grandi, impossibili da realizzare, ci chieda gesti, opere al di sopra delle nostre potenzialità, delle nostre possibilità.

Prendiamo, ad esempio, il Vangelo di questa domenica.

Dice Gesù ai suoi apostoli, quindi anche a ciascuno di noi: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me». A noi che siamo madri, padri, figli come può il Signore chiedere questo? Amarlo più di un figlio, di una figlia, dei propri genitori?

Ancora Gesù ci chiede di prendere la nostra croce e seguirlo, altrimenti non siamo degni di lui. Ma come si fa ad accettare una croce, addirittura caricarsene e camminare nella vita con questa fatica?

Ancora…ci chiede di perdere la nostra vita…proprio quella vita che, con tanto sacrificio, proviamo a costruirci, attraverso la quale proviamo a realizzarci, con la quale cerchiamo la felicità.

Ancora…ci chiede di accogliere profeti, giusti, piccoli, di aprire le porte, di dar da bere…ma come possiamo farlo? Come facciamo a riconoscerli? Ci sono tanti impostori in giro, tanti truffatori! Come poterci fidare dell’altro?

Sono cose troppo grandi, Signore, troppo grandi per noi!

Ma, come sempre, la Parola viene in nostro soccorso. E, questa domenica, a tutti gli interrogativi e perplessità che il Vangelo ci suscita, risponde la prima lettura, tratta dal libro dei Re.

Ci presenta la figura di una donna della città di Sunem, una donna che, insieme con il proprio marito ospita a casa sua il profeta Eliseo ogni volta che questi passa da quelle parti.

La donna, ad un certo punto, chiedendosi cosa possa fare in più per Eliseo, riconosciuto da lei come uomo di Dio e santo, decide con il marito di costruire, nella parte superiore della casa, una piccola stanza, in muratura, arredata con un letto, un tavolo, una sedia, un candeliere così che il profeta, venendo da loro, possa ritirarvisi.

La coppia, ci dice la Scrittura, non ha figli: avrebbero, moglie e marito, potuto chiedere ad Eliseo una grazia, un miracolo, un figlio come ricompensa alla loro ospitalità. Ma non lo fanno, anzi, fanno loro qualcosa in più per il profeta e, quella parte di casa che magari poteva essere destinata ai loro figli, la riservano per Eliseo.

Questa coppia, nella semplicità della sua vita, ci aiuta a dare risposta alle domande che ci portiamo dentro.

La donna e suo marito non hanno vissuto nel rimpianto di non poter avere figli ma quella vita, quell’amore che comunque hanno dentro, non hanno permesso che rimanessero sterili ma li hanno donati a piene mani. Ecco come hanno reso concreto l’amare Dio più di ogni altra cosa o persona.

Non hanno tenuto per loro la propria vita, ma l’hanno messa a disposizione totalmente, permettendo ad Eliseo, sì un uomo di Dio ma pur sempre un estraneo, di entrare nell’intimità della loro casa e della loro storia.

Hanno accolto, hanno dissetato, hanno sfamato, hanno condiviso.

Hanno preso la propria croce e hanno seguito Dio. Ma capiamo bene cosa sia la croce. La croce non è la disgrazia che Dio ci fa cadere addosso per purificare la nostra vita o la nostra fede, disgrazia che dobbiamo accettare e basta. Portare la croce è la scelta consapevole di donare la nostra vita, ogni giorno, per amore del fratello e nella certezza dell’amore di Dio per noi.

E’ quello che hanno fatto, nella semplicità, la donna di Sunem e suo marito, aprendo la loro vita ad Eliseo e nulla trattenendo!

La coppia ha messo nelle mani di Dio la propria vita…e la vita, a conferma di quanto Gesù dice nel Vangelo e cioè «Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà», l’ha davvero trovata. Eliseo, infatti, alla donna dice: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio tra le tue braccia». E noi? Crediamo davvero che affidando la nostra vita a Dio, ce la ritroveremo moltiplicata tra le braccia?