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Monache Clarisse: “siamo tutti chiamati ad interrogarci sui sentieri che abbiamo percorso e che percorriamo”

DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

Il re entra in Gerusalemme, e in lui tutte le profezie e tutta l’attesa di Israele trovano il loro compimento. La liturgia delle Domenica delle Palme commemora questo avvenimento; con rami di palme in mano, noi ci identifichiamo con il popolo di Gerusalemme. Con esso salutiamo e cantiamo all’umile Re.

Ma cosa cantiamo? Così come la gente di Gerusalemme anche noi acclamiamo: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».

«Osanna!»: Signore, salva! Noi confessiamo, con questo grido, che tutto, nella nostra vita e nel mondo, appartiene al Cristo.

«Benedetto colui che viene nel nome del Signore»: proclamiamo che nessun ambito della nostra esistenza sfugge alla sua presenza, alla sua salvezza e alla sua azione redentrice.

«Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide»: crediamo e testimoniamo che il suo regno è lo scopo ultimo e il contenuto della nostra vita.

Tutto questo cantiamo, tutto questo, attraverso il canto dell’Osanna, professiamo!

E mentre cantiamo, ci mettiamo in cammino con Lui alzando al cielo i rami d’ulivo stretti nelle nostre mani. Ma…dove si sta dirigendo il Signore? Sappiamo bene che Gesù si incammina verso il Golgota, verso la croce, e la lettura della passione secondo l’evangelista Marco nella celebrazione eucaristica di oggi, ce lo ricorda.

Ma siamo pronti ad una reale accoglienza di Cristo, del suo regno, della sua Parola nella nostra vita?

Perché le palme nelle nostre mani e il nostro cammino processionale all’inizio dell’Eucarestia vogliono significare la nostra prontezza, la nostra volontà, il nostro desiderio di seguire Gesù nel cammino del sacrificio, ovvero nel fare del Regno la misura di tutta la nostra vita.

«Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro». Questo scrive il profeta Isaia e questo è l’atteggiamento che siamo chiamati a fare nostro nella sequela del Signore, oggi e ogni giorno. Non meramente una nostra conquista, uno sforzo intellettuale e fisico, l’apprendimento e la messa in pratica di norme o leggi…ma un abbandono, un affidamento, una fedeltà che “permettono” al Signore di agire nella nostra vita, di prendere dimora nel nostro quotidiano così da svegliare orecchio, mente e cuore al suo amore.

E’ lo stesso affidamento di Gesù che, come dice San Paolo nella lettera ai Filippesi, «…pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio…umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».

All’inizio di questa settimana santa, siamo tutti chiamati ad interrogarci sui sentieri che abbiamo percorso e che percorriamo e ad imparare dal cammino di Gesù per giungere a camminare nella vita e tra gli uomini come lui stesso ha camminato.