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Stop ai voucher. Zamagni: “Il lavoro flessibile va tutelato, trovare una nuova norma per evitare il nero”

Francesco Rossi

Stop ai voucher dal 1° gennaio 2018. Così il Consiglio dei ministri questa mattina (17 marzo) ha “disinnescato” la miccia del referendum previsto per il prossimo maggio, con un decreto legge che abolisce i buoni lavoro da 10 euro lordi (7,5 euro netti) per pagare le prestazioni accessorie, introdotti dalla Legge Biagi nel 2003 e che avevano registrato un grande sviluppo, accompagnato però da abusi nel loro utilizzo. Inserite nel testo pure le nuove norme sugli appalti, in modo da superare anche il secondo quesito referendario proposto dalla Cgil.

“L’Italia non aveva certo bisogno nei prossimi mesi di una campagna elettorale su temi come questi”, ha spiegato in conferenza stampa il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, aggiungendo che questo era anche “l’orientamento maturato nelle ultime settimane in Parlamento”. Ora, ha osservato Gentiloni, si apre una “nuova stagione” per regolare “in maniera seria” il lavoro saltuario e occasionale.

“La storia dei voucher in Italia costituisce un’ulteriore conferma di come una misura di per sé valida possa degenerare nel corso del tempo. Noi siamo unici al mondo per questa ‘capacità’”, rimarca al Sir l’economista Stefano Zamagni, intervistato subito dopo il varo del decreto legge.

Professor Zamagni, il provvedimento del Governo nasce solo per evitare il referendum?

Sì, l’esecutivo, sapendo che la Cgil avrebbe vinto la consultazione referendaria, ha giocato d’anticipo. Ma la cancellazione totale non è la soluzione ottimale.

Sarebbe stato meglio tornare alla lettera e allo spirito della legge Biagi.

Ossia?

I voucher nacquero con la legge Biagi del 2003, che però fissava criteri molto precisi e stretti, prevedendoli per lavori occasionali, temporanei e per certe categorie di persone. L’apertura successiva è avvenuta con il secondo governo Berlusconi, ma soprattutto con il governo Monti, che nel 2012 consentì a qualunque tipo di attività lavorativa, indipendentemente dalla dimensione d’impresa, di utilizzare i voucher. Da qui l’inflazione che conosciamo nell’uso dello strumento.

La Cgil li ha duramente contestati, mentre altre sigle sindacali e associazioni – da Confcommercio a Confindustria, dalla Cna alla Coldiretti – ora ne criticano l’abolizione…

In certe circostanze e in definiti comparti l’uso del voucher rappresenta un modo per assecondare le esigenze sia di chi produce, sia di chi lavora. Invece, avendo esagerato, oggi ci troviamo senza uno strumento che gli altri Paesi hanno per permettere queste minime quanto necessarie forme di flessibilità. Questo non soddisfa né le imprese, né quanti ne beneficiavano, come i giovani che hanno bisogno di arrotondare con attività saltuarie.

Non si poteva tornare alla formulazione iniziale prevista dalla Legge Biagi?

No, per come era formulato il quesito referendario la consultazione ci sarebbe stata ugualmente. Oltretutto, in situazioni d’incertezza interpretativa prevale il principio del consentire ai cittadini di esprimersi in merito. Ecco perché il governo ha tolto persino il voucher per gli occupati nelle famiglie.

Come permettere, ora, quella necessaria flessibilità?

Questo è il problema, rimasto irrisolto. Vedo però che l’abolizione scatta dal 1° gennaio prossimo.

Abbiamo davanti nove mesi nei quali confido che la saggezza dei governanti elabori un’ulteriore norma.

Nel frattempo, e finché non ci saranno nuove norme, il lavoro nero tra queste attività rischia di proliferare?

È evidente, ed era la battaglia di Marco Biagi: se non introduciamo degli strumenti, diceva, che sottoposti al controllo consentano il rispetto dei diritti umani e della dignità dei lavoratori, il rischio è quello di alimentare implicitamente il lavoro nero. Per questo bisogna premere, anche a livello di opinione pubblica, perché Governo e Parlamento trovino un modo per reintrodurre quelle flessibilità al margine che ogni sistema produttivo deve avere.