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Aleppo, sotto il fuoco incrociato di “bombe e bugie”. La Siria “paga l’egoismo di Paesi che pretendono pure di essere cristiani”

aleppo

di Daniele Rocchi

SIRIA – “Bombe e bugie”. Questa è oggi Aleppo. La Bigia, la capitale economica della Siria, la più popolosa del Paese, città tra le più antiche del mondo, e patrimonio dell’Unesco dal 1986. Luoghi come la Cittadella, la grande Moschea Omayyade, la madrasa al-Halawiyya, sono solo alcune delle ricchezze che le hanno permesso di diventare la prima città a fregiarsi, nel 2006, del titolo di “Capitale culturale del mondo islamico”. Da museo a cielo aperto che era, oggi Aleppo è distrutta, devastata la sua storia di convivenza millenaria, di dialogo fra fedi e etnie, dilaniata da uno scontro tra l’esercito del regime di Bashar Al Assad e i ribelli dell’Opposizione. Aleppo è lo specchio fedele di un Paese distrutto da una guerra cominciata nel 2011 che si alimenta del triste conteggio dei morti, 300mila – ma c’è chi dice oltre 400mila – con metà della popolazione sfollata, oltre 5 milioni sono quelli fuggiti nei Paesi limitrofi, Libano, Turchia e Giordania, per non parlare degli scomparsi nelle carceri del Governo, dei sequestrati nelle mani di Daesh e dei ribelli. Anche qui decine di migliaia di persone.

Una città sotto assedio delle armi. Fino ad oggi. La tregua concordata a Ginevra con l’intervento diretto di Washington e Mosca, scattata al calar del sole il 12 settembre scorso, è miseramente fallita tra attacchi dell’aviazione statunitense (17 settembre, ndr) a truppe regolari di Assad impegnate a Deir el-Zor contro Daesh, a convogli umanitari (19 settembre) e a un ospedale (20 settembre) nei pressi di Aleppo. Quasi naturale il reciproco scambio di accuse: per Damasco sarebbero stati “i ribelli a sabotare l’intesa” mentre per l’opposizione siriana il regime “avrebbe violato più volte la tregua per poterne annunciare la fine”. Intanto ad Aleppo, come in altre città sotto assedio, milioni di siriani rischiano di morire di stenti e colpiti dal fuoco delle armi.

“Siamo sotto il fuoco continuo delle bombe – dice da Aleppo l’arcivescovo greco-cattolico della città, monsignor Jean-Clément Jeanbart – la notte è squarciata dal rumore degli aerei e delle bombe. Impossibile riposare e Dio solo sa quanto la popolazione ne avrebbe bisogno. Siamo stanchi, appesantiti da questa situazione assurda. Abbiamo riaperto le scuole ma abbiamo trasferito i nostri alunni in altre strutture in zone più sicure e vicine, questo anche per evitare loro di muoversi troppo e diventare così dei bersagli mobili.

Ci avevano promesso la pace, il cessate il fuoco, la tregua, invece nulla. Ma sono solo bugie, bugie, bugie”.

Sotto accusa, per l’arcivescovo quel “regalo” degli Usa che è stato il bombardamento del 17 settembre della base militare siriana provocando svariate decine di morti fra i soldati di Assad. “Come potevano non sapere gli americani di quella base se hanno postazioni e satelliti dovunque?” è la domanda del vescovo. “Più difficile, invece, conoscere “i veri autori” dell’attacco al convoglio umanitario, che, a detta di mons. Jeanbart, “potrebbe non essere stato bombardato dall’alto ma colpito da terra mentre transitava in una zona controllata dalle forze ribelli”. Stesso discorso per le “bombe al fosforo” che secondo testimoni oculari sarebbero state usate la notte tra il 21 e 22 settembre su quartieri di Aleppo est, fuori dal controllo governativo.“Una cosa è certa – aggiunge il presule – la gente è colpita due volte, dalle bombe e dalla propaganda delle parti in lotta. Bugie, solo bugie”

ripete al telefono con voce strozzata. “La Siria non può essere il campo di battaglia di Stati internazionali che per interesse vogliono prenderne il territorio. Come pastori non possiamo restare in silenzio davanti a questo massacro! Povera Siria! Cinque anni di guerra e distruzioni, quando finirà questa strage?”.

In attesa di conoscere il loro destino gli abitanti di Aleppo, “quelli rimasti”, devono fare i conti con condizioni di vita difficili. “L’acqua è poca, ma la cosa peggiore è l’energia elettrica che non abbiamo – afferma mons. Jeanbart – si va avanti con i generatori. Da due anni che andiamo così. Mancando il lavoro, mancano i soldi per acquistare il carburante.

Come Chiesa cerchiamo di aiutarli ma non abbiamo più abbastanza denaro. Il cibo e i medicinali generici sembrano non mancare anche se i prezzi sono aumentati. Fa rabbia – dice ancora – sapere che la Siria produceva tante medicine, ma le bombe hanno spazzato via molte industrie farmaceutiche. Medicinali specializzati invece arrivano dall’estero. Le condizioni dei civili in città sono davvero dure”. Ripete la parola “civili” più volte il presule. “Sì, perché in città non ci sono soldati, almeno nelle zone – e sono la maggior parte – sotto il controllo del Governo. I soldati – spiega l’arcivescovo greco cattolico – sono tutti fuori quasi a sigillare Aleppo, per evitare che ribelli e terroristi entrino in città dove stazionano solo gendarmi e poliziotti”. La parte in mano ai ribelli è quella Est, sede, tra l’altro, “delle industrie e fabbriche molte delle quali sono state distrutte dalla guerra”.

“Davanti a tutta questa distruzione non sappiamo più cosa dire e pensare. I siriani voglio dialogo e pace. Quello che non vogliono le grandi nazioni che, alle nostre spalle, stanno distruggendo la nostra terra e la nostra società. A loro interessa solo petrolio, gas, acqua, porzioni di terra per aumentare il loro potere e influenza, russi e americani su tutti. Stiamo pagando l’egoismo di questi grandi Paesi che pretendono pure di essere cristiani”.