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“Essere braccia, mani piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita”

papa

di Patrizia Caiffa

No alle “mille trappole” dell’autocompiacimento, dell’autoreferenzialità, ad una “spiritualità di etichetta” che ci fa dire “Io sono Cl” ma rischia di “trasformarci in meri impresari di una Ong”. Papa Francesco ha così ammonito gli oltre 80mila militanti di Comunione e liberazione arrivati sabato 7 marzo in piazza San Pietro da 47 Paesi del mondo, per celebrare insieme a lui il 10° anniversario della morte del fondatore don Luigi Giussani e i 60 anni dalla fondazione del movimento, che conta circa 300mila membri. Il Papa ha voluto incontrare tutti: ieri i neocatecumenali, prima ancora i focolarini, la Comunità di Sant’Egidio e oggi i ciellini. Per ribadire la sua visione di Chiesa centrata su Cristo e solo dopo sui carismi. Una Chiesa che come primo compito ha quello di “uscire” per “respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme”, “saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera”. Papa Francesco ha percorso in papamobile, ma senza papalina sulla testa, una piazza piena di sole spazzata dai venti di tramontana, tra fedeli infreddoliti e coriste vestite di nero. Un lungo percorso fino a via della Conciliazione, con le solite pacche affettuose ai bambini e il pollice alzato in segno di intesa verso i più giovani. Ad attenderlo, sul sagrato, decine di vescovi, leader di altre confessioni cristiane, tra i quali l’ex primate anglicano Rowan Williams, un gruppo di ortodossi tra cui il filosofo ucraino Aleksandr Filonenko e la scrittrice Tatjiana Kasatkina e alcuni musulmani. Nel suo saluto al Papa il presidente di Cl, don Juliàn Carron, aveva detto: “Coscienti della nostra fragilità e del nostro tradimento”, siamo venuti “come mendicanti, col desiderio di imparare, per essere aiutati a vivere con sempre maggiore fedeltà e passione il carisma ricevuto”.
Riconoscente a don Giussani. Aprendo il discorso il Papa si è detto “riconoscente” nei confronti di mons. Luigi Giussani, “per varie ragioni”: “La prima, più personale, è il bene che quest’uomo ha fatto a me e alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli”. L’altra “è che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo” perché sottolinea “l’esperienza dell’incontro: incontro non con un’idea, ma con una Persona, con Gesù Cristo”. “E non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione – ha proseguito – senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa”.
La morale cristiana è risposta alla misericordia di Dio. “La morale cristiana – ha scandito il Papa – non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No, la morale cristiana è un’altra cosa: è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura ‘ingiusta’ secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende”. La strada della Chiesa, ha sottolineato, “è anche questa: lasciare che si manifesti la grande misericordia di Dio”. Papa Francesco ha ricordato le parole dette nei giorni scorsi ai nuovi cardinali: “La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle ‘periferie’ dell’esistenza”.
Cristo prima dei carismi. Ai membri di Cl il Papa ha raccomandato di mettere sempre al centro Gesù Cristo, ancora prima della spiritualità e dei carismi. “Il carisma – ha sottolineato – non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire ‘pietrificarlo’ – è il diavolo che ‘pietrifica’ – non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro. Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta”. La “fedeltà alla tradizione”, ha precisato il Papa citando Mahler, “significa tenere vivo il fuoco, non adorare le ceneri”. “Don Giussani – ha ribadito – non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi! Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa ‘in uscita’. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo”.