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L’aratro e la barca: un libro sulle tradizioni del piceno

L’Aratro e la Barca” (Librati editore) sono i due poli delle tradizioni della nostra terra picena, tra il mare e la collina. Queste memorie culturali della tradizione orale sono state raccolte sapientemente e scientificamente dall’antropologo Marco Polia, Presidente del Centro Studi delle Tradizioni Picene a Ascoli Piceno, in due poderosi volumi presentati domenica 27 presso la sede dell’Associazione dei Pescatori Sambenedettese. Il libro è il frutto di uno “studio amorevole, senza pregiudizi”, come lo ha definito lo stesso Polia, realizzato grazie alla collaborazione dell’Associazione dei Pescatori Sambenedettesi, del presidente Pasquale Pignati,  della prof. Mariella Sabatini che hanno intervistato diversi anziani marinai, funai ed altri sambenedettesi raccogliendo testimonianze dirette. La prof. ssa Paola Sguerrini ha introdotto l’evento, presenti anche l’assessore Margherita Sorge che ha rimarcato come il libro faccia dialogare due civiltà quella marinara e quella rurale, e il lavoro prezioso fatto per la realizzazione del museo della Civiltà Marinara come museo antropologico. L’assessore Fabio Urbinati nel suo saluto, ha sottolineato come ogni generazione abbia avuto momenti di crisi ma facendo comunità si possono dare svolte importanti, anche il presidente della povincia Celani ha fatto riferimento al forte senso di collettività e appartenenza che caratterizza il piceno.

È stato presentato anche un documento prezioso del 1962, una registrazione fatta da don Civardi al tempo nella Chiesa della Madonna della Marina, di un canto del nonno nato nel 1880 di una signora presente in sala.

Un libro quindi reso possibile dai “superstiti”, gli anziani, che hanno raccontato e trasmesso quel bagaglio di conoscenze orali legate in particolare al mondo religioso. Superstiti perché la memoria dell’uomo è qualcosa di fragile, ha una data di scadenza legata alla vita, alla lucidità e se non si ha cura di raccogliere tutta questa tradizione orale, noi la perderemo per sempre.

La visione del mondo che caratterizzava la civiltà sia marinara che rurale, raccolta nel testo, è “naufragata sugli scogli della modernità. Perciò è importante raccogliere giudiziosamente ciò che l’uomo ha fatto” ha sottolineato Polia. Il professore ha spiegato il metodo di studio che ha seguito per la composizione del libro, ringraziando i veri autori, sia uomini che donne, cioè tutti coloro che hanno raccontato il patrimonio culturale di preghiere, canti, formule, riti della tradizione orale di cui erano i diretti protagonisti. Il testo segue il ritmo dell’anno liturgico, con particolare riferimento alle feste dei santi patroni e ne emerge un mondo caratterizzato dalla solidarietà, da un forte senso di comunità, di sussidiarietà, che abbiamo evidentemente perso insieme alle tradizioni. In particolare il ruolo sinergico sia dell’uomo che della donna, entrambi importanti nei diversi campi di competenza, per il proseguo della comunità, della speranza, della sopravvivenza. Significative erano poi le feste legate ai santi patroni come momenti necessari per ridistribuire i beni, perché chi aveva qualcosa lo donava, questo era il senso dei canti delle brigate di cantori che passavano di casa in casa ricevendo in cambio qualcosa da mangiare che poi condividevano. Basta pensare alla festa di S. Antonio ad esempio. Quindi la venerazione del santo non è che il pretesto per solidarizzare. Tutti questi elementi si ritrovano in modo da poter fare delle comparazioni, nelle diverse culture anche lontane geograficamente, anche perché la dimensione religiosa è irrinunciabile per l’uomo, dovunque si trovi e viva e domande fondamentali che si pone sono sempre le stesse “da dove vengo, chi sono…” Del religioso fa parte anche tutti quei rituali e formule magiche, che erano esclusivamente orali e che grazie alla disponibilità di alcuni testimoni sono state potute mettere per iscritto e conservarle cosi per il futuro. Per cui ciò che può essere tacciato come superstizioso, è indagato dall’antropologo senza pregiudizi. Il lavoro dello studioso premette una comparazione per capire come le tradizioni siano state tramandate di padre in figlio, come si sono modificate, evidenziando come alcune risalgano ai tempi di Plinio il Vecchio, e ancora prima, e si ritrovino in altre parti dell’Europa.

Il professor Polia ha sollecitato tutti, i singoli, l’amministrazione, a lavorare per conservare i prodotti immateriali della cultura come ad esempio le tecniche di lavoro della pesca, le simbologie delle vele, il vissuto quotidiano. E tutto questo studio meticoloso di raccolta va fatto ora prima che questo materiale vada perduto, essendo legato al filo della vita delle persone anziane. Quello che salviamo da San Benedetto di questa cultura e un tassello del mosaico della storia dell’uomo. Un invito pressante e urgente.

Abbiamo allora chiesto al professore come siamo riusciti a perdere in così poco tempo una memoria orale che parte da tradizioni così lontane, tanto da risalire a 2000anni fa, e Polia ha risposto constatando come dagli anni 60, l’avvento dei media e della TV, abbia talmente modificato le abitudini tanto da portare a una perdita del ruolo dell’anziano come depositario di conoscenze, con un rifiuto da parte dei figli di conoscere con la conseguente mancanza di fiducia dell’anziano a raccontare poi, che oggi racconta volentieri a chi mostra loro un reale interesse ad ascoltare. Una bella responsabilità da colmare recuperando queste memorie!