Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – (Nel clima festivo della Madonna della Marina, a pochi giorni della celebrata festa dei nonni, con tanta tenera nostalgia, ho cercato un mio scritto di alcuni anni fa, ne faccio partecipi i mei lettori, in particolare i tanti miei nipoti, perché, come dice papa Francesco, le “radici” non vadano dimenticate)

Non so se altri provano la stessa sensazione di piacere, quando, in riva al mare, specie nella giornate capricciose con gli sguardi torvi delle nuvole che sembrano inquiete con il mare, l’aria acre della salsedine mi penetra con violenza nelle narici. E’ dello stesso sapore del sangue che scorre nelle vene e cammini con il presentimento di un incontro familiare. “Il sangue non è acqua”, ti senti ripetere con il linguaggio della vita; son sempre più convinto che il fiume che lega la storia degli uomini, scorre proprio lì. “Dello stesso sangue” ad indicare parentele ed è la sorgente inarrestabile che si rigenera in ogni parto. E se anche scegli strade diverse, hai dentro la “mappa” dell’esperienze delle generazioni passate. Quali freudiane sensazioni provo nel camminare a piedi nudi tra la ciosche con tutta la spazzatura che il mare restituisce alla terra? Era il cercare, dietro l’incedere faticoso del nonno, un pezzo di legno, che posto ad asciugare, serviva per alimentare il fuoco scarso delle sere invernali. Anche la ciosche aiutava a vivere, quando le langette erano obbligate, per i venti avversi, a restare sulla riva. Stavano lì a due a due, quasi melanconica compagnia nei momenti di attesa. E tra quei legni ci accampavamo, quali novelli achei, ad ascoltare le leggende di un passato prossimo, i cui protagonisti erano talora posti in sbiadite fotografie tra le fessure della credenza della cucina.
Con nonno Petrocce c’era sempre zio Tommaso, di una bontà unica, allegro e giocherellone e di una fervida fantasia da starci insieme ore ed ore ad ascoltarlo a bocca aperta: “Dai zio raccontaci di nonno Basso!”. A dire il giusto si trattava del mio bisnonno che potevamo ammirare nella foto, oggi diffusa su vari libri, che avrebbe fatto notizia sul romanzo di Hemingway “il vecchio e il mare”. Un vecchio ossuto, con la dignità costruita tra enormi fatiche. E ridevamo a crepa pelle quando lo zio raccontava: “ Mio padre, nonché il vostro bisnonno, cominciò ad andare a mare che aveva ancora in dosso lu varnellétte…”. E si , fino ad una certa età non ci si distingueva, maschi e femmine, nel vestire e spesso i bambini iniziavano il duro lavoro del marinaio, fin dai 5 o 6 anni. “Ecco, zio, raccontaci dello Sciò”. L’avevamo sentito cento volte, ma non ci bastava mai, in fondo anche i nostri bambini oggi, provano interesse per i cartoni animati anche dopo averli visti a nausea.
A via delle Rane ( oggi S.Martino), conoscevano bene Basso e Benedetto, quei due monelli che stavano sempre insieme, quando potevano e spesso si ritrovavano a mangiare l’uno a casa dell’altro senza che le famiglie si preoccupassero più di tanto, vivendo porta a porta. Benedetto, da un po’ di tempo, era costretto ad oziare tutto il giorno, in attesa che il padre tornasse dal Sanatorio per riprendere il suo posta sulla langètte. Il pomeriggio correva sulla spiaggia aspettando l’amico Basso, con la speranza anche di portare un po’ di pesce a casa. I poveri si sono sempre aiutati tra di loro. Quella mattina d’estate, il padre di Basso si lasciò convincere di portare sulla langètte i due ragazzi, c’era sempre da fare e sicuramente Benedetto sarebbe stato di aiuto. Partirono che era ancora notte, solo la luna si era svegliata prima di loro e sembrava indicare la strada migliore tra le chete acque del mare. La giornata prometteva bene e issata la vela, la langètte si allontanava allo sguardo della madre che aveva aiutato a portare le còffe e le panerélle.
Una volta al largo, il padre di Basso gettò la rete e mentre la langètte noiosamente avanzava, preparò la colazione a base di dure gallette da inzuppare in una cuccuma di orzo. I ragazzi ne mangiarono con avidità e poi si appisolarono, terminando il sonno interrotto troppo presto. Verso mezzogiorno la rete era stata issata a bordo più volte e molti pesci saltellavano nelle còffe tra l’ilarità dei ragazzi. E poiché fino a quel momento la pesca era stata buona, il mio trisnonno, accingendosi all’ultimo lancio della rete, stava pensando di anticipare il rientro. Ad un tratto, la sua attenzione fu attratta da un vortice lontano , di quelli che si formano improvvisamente d’estate, che avanzando minaccioso, sollevava le acque ed oscurava il cielo. “ Presto, presto, Basso, Benedetto, tiriamo su la rete e giriamo la langètte verso riva, state attenti e tenetevi forti, arriva lu Sciò”. Un vistoso schizzo d’acqua troncò le sue parole e si ritrovarono bagnati e all’oscuro, come se qualcuno avesse spento il sole. La langètte incominciò a ruotare su se stessa e onde impazzite si frantumavano contro lo scafo. Basso e Benedetto strillavano per la paura, quando ad un tratto un’onda enorme si rovesciò sulla plancia trascinando via tutto e spezzando l’albero maestro. Basso cercò Benedetto, ma non lo trovò più vicino, un presentimento lo atterrì. L’onda l’aveva portato via. Guardò tra il groviglio di pezzi frantumati che galleggiavano impazziti intorno alla langètte ormai ingovernabile ed intravvide il suo amico che si dibatteva tra le onde. Senza indugi si gettò in acqua e imitando il movimento delle rane che gli riusciva perfettamente, tanto da essere soprannominato la grassèlle, raggiunse il punto dove aveva visto Benedetto riemergere, ma non lo trovò. Guardò in giro, chiamò disperato, nulla. Quando ormai pensava di averlo perduto, il piede destro avvertì un qualcosa di morbido, come di un ciuffo di capelli. Si tuffò ed agguantò Benedetto tentando di farlo riemergere. Lo portò su afferrando una tavola che danzava nelle vicinanze. Sollecitò l’amico ad aggrapparsi, ma Benedetto non dava segni di vita. Lo sollevò più su che poté e lo tenne stretto alla tavola con le poche forze che gli erano rimaste.
Se intorno non ci fosse stato un galleggiare disordinato di rottami, si sarebbe detto che nulla era accaduto. Il sole era tornato a splendere e le onde si erano chetate. Quante morti abbiamo pianto a causa di questi improvvisi fortunali! Il padre di Basso che era riuscito a non far capovolgere la langètte, vide il figlio aggrappato alla tavola, lo raggiunse a nuoto e riuscì ad issarlo sulla barca insieme a Benedetto che continuava a non dar segno di vita. Ma bastarono pochi movimenti esperti, perché Benedetto, vomitando acqua e quel poco che aveva mangiato, riaprisse gli occhi. Guardò l’amico, ma non si dissero nulla.
E lo zio Tommaso concludeva il suo racconto: “La vita li volle, da quel dì, sempre insieme e quando toccò loro di condurre le langètte, navigavano sempre a coppia”. E per tutti, in un felice traslato, furono sempre “le gemelle”.

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