foto SIR/Marco Calvarese

M.Michela Nicolais

“Un viaggio diverso dagli altri”. Così il Papa ha definito il suo recente viaggio in Canada, di cui ha ripercorso le tappe durante l’udienza di oggi in Aula Paolo VI. “La motivazione principale era quella di incontrare le popolazioni originarie per esprimere ad esse la mia vicinanza – la vicinanza della Chiesa -, il mio dolore e chiedere perdono per il male loro arrecato da quei cristiani, tra cui molti cattolici, che in passato hanno collaborato alle politiche di assimilazione forzata e di affrancamento dei governi dell’epoca”, ha spiegato Francesco: “In questo senso, in Canada è stato intrapreso un percorso per scrivere una nuova pagina del cammino che da tempo la Chiesa sta compiendo insieme ai popoli indigeni. Un cammino di riconciliazione e di guarigione, che presuppone la conoscenza storica, l’ascolto dei sopravvissuti, la presa di coscienza e soprattutto la conversione, il cambiamento di mentalità”.

“Per un verso, alcuni uomini e donne di Chiesa sono stati tra i più decisi e coraggiosi sostenitori della dignità delle popolazioni autoctone, prendendo le loro difese e contribuendo alla conoscenza delle loro lingue e culture”, l’analisi del Papa: “ma, per altro verso, non sono mancati purtroppo cristiani – cioè preti, religiosi, religiose, laici – che hanno partecipato a programmi che oggi capiamo che sono inaccettabili e contrari al Vangelo”. “E per questo io sono andato a chiedere perdono, a nome della Chiesa”,

ha proseguito a braccio: “È stato dunque un pellegrinaggio penitenziale. Tanti sono stati i momenti gioiosi, ma il senso e il tono dell’insieme è stato di riflessione, pentimento e riconciliazione”.

“Insieme abbiamo fatto memoria: la memoria buona della storia millenaria di questi popoli, in armonia con la loro terra – questa è una delle cose più belle dei popoli indigeni: l’armonia con la terra, mai maltrattano il creato –  e la memoria dolorosa dei soprusi subiti, anche nelle scuole residenziali, a causa delle politiche di assimilazione culturale”. Questa, in sintesi, la prima tappa del “pellegrinaggio penitenziale” in Canada, ad Edmonton, nella parte occidentale del Paese. “Dopo la memoria, il secondo passo del nostro cammino è stato quello della riconciliazione”, il riferimento alla seconda tappa, a Québec, nella parte orientale. “Non un compromesso tra noi – sarebbe un’illusione, una messa in scena – ma un lasciarsi riconciliare da Cristo, che è la nostra pace”, ha puntualizzato Francesco.

“Memoria, riconciliazione, e quindi guarigione”. È il terzo passo del cammino in Canada, sulle rive del Lago Sant’Anna, proprio nel giorno della festa dei Santi Gioacchino e Anna: “Da questo percorso di memoria, riconciliazione e guarigione scaturisce la speranza per la Chiesa, in Canada e in ogni luogo”, la tesi del Papa, che ha fatto riferimento alla figura dei discepoli di Emmaus, che “dopo aver camminato con Gesù risorto passarono dal fallimento alla speranza”. “Il cammino insieme ai popoli indigeni ha costituito l’asse portante di questo viaggio apostolico”, ha ripetuto Francesco, ringraziando le autorità e i vescovi “per la grande disponibilità e accoglienza”. “Davanti ai governanti, ai capi indigeni e al Corpo diplomatico – ha riassunto il Papa – ho ribadito la volontà fattiva della Santa Sede e delle comunità cattoliche locali di promuovere le culture originarie, con percorsi spirituali appropriati e con l’attenzione alle usanze e alle lingue dei popoli. Nello stesso tempo, ho rilevato come

la mentalità colonizzatrice si presenti oggi sotto varie forme di colonizzazioni ideologiche, che minacciano le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli, appiattendo le differenze, concentrandosi solo sul presente e trascurando spesso i doveri verso i più deboli e fragili”.

“Si tratta dunque di recuperare un sano equilibrio, recuperare l’un’armonia – che è più di un equilibrio, è un’altra cosa – tra la modernità e le culture ancestrali, tra la secolarizzazione e i valori spirituali”, la ricetta di Francesco: “E questo interpella direttamente la missione della Chiesa, inviata in tutto il mondo a testimoniare e  seminare una fraternità universale che rispetta e promuove la dimensione locale con le sue molteplici ricchezze”. “Voglio ribadire il mio ringraziamento autorità civili”, ha proseguito a braccio: “Alla signora governatrice, al primo ministro, alle autorità dei posti dove sono andato: ringrazio tanto per il modo in cui hanno aiutato che questo si facesse. E ringrazi oi vescovi, soprattutto l’unità dell’episcopato: questo è stato possibile da parte nostra perché i  vescovi erano uniti, e dove c’è unità si può andare avanti”.

Il terzo e ultimo incontro in Canada, nella terra degli Inuit, a 300 chilometri dal Circolo polare artico, con giovani e anziani, si è svolto “nel segno della speranza”. “Soprattutto in questo ultimo incontro – ha rivelato il Papa a braccio –

ho dovuto sentire come schiaffi dal dolore di quella gente:

gli anziani che hanno perso i figli e non sapevano dove erano finiti, per questa politica di assimilazione. È’ stato un momento molto doloroso, ma si doveva mettere la faccia: dobbiamo dare la faccia davanti ai nostri errori, ai nostri peccati”. “Anche in Canada questo è un binomio-chiave, è un segno dei tempi”, il riferimento all’incontro con gli Inuit: “Giovani e anziani in dialogo per camminare insieme nella storia tra memoria e profezia, che sono in tensione”. “La fortezza e l’azione pacifica dei popoli indigeni del Canada siano di esempio per tutte le popolazioni originarie a non chiudersi, ma ad offrire il loro indispensabile contributo per un’umanità più fraterna, che sappia amare il creato e il Creatore”, l’auspicio finale del Papa: “In armonia con il creato, in armonia tra tutti voi”.

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