“In ebraico la fede si dice emunà e ha la stessa radice della parola amen che è un atto di fiducia verso quello che abbiamo ascoltato. La fede ha una dimensione molto pratica”. Lo ha sottolineato David Morselli, di Roma, socio fondatore e primo vice presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana giovani, intervenendo ad Assisi alla 58ª Sessione di formazione ecumenica del Sae. “La prima volta in cui compare la parola emunà nella Torah è in Genesi 15,6: Abramo ebbe fede nella promessa di una discendenza fattagli da Dio. È un momento abbastanza avanzato nella storia di Abramo: si era già allontanato dalla terra dei padri, era già sceso in Egitto. Non c’era stata ancora la necessità di pronunciare la fede – ha precisato Morselli -. Secondo me proprio perché la fede non era qualcosa di concettuale ma si manifestava in diverse azioni. La fede non è qualcosa di filosofico che non ha legame con ciò che succede”. Il vicepresidente dell’Amicizia ebraico-cristiana giovani ha portato l’esempio della Cena pasquale: “Nel Seder di Pesach si rivive l’uscita dall’Egitto come se fossimo noi stessi che usciamo e si mangia anche il pane azzimo che in un certo senso rafforza la nostra fede come tutta la narrazione”. Morselli ha evidenziato anche quanto nelle diverse tradizioni la comunità sia importante per la vita di fede dei suoi membri. Famiglia, scuola, comunità religiosa sono ambiti in cui sviluppare la fede. Nell’ebraismo un’altra componente fondamentale è l’appartenenza a un popolo e a una cultura. La fede, per il giovane studioso, è una risorsa preziosa per interpretare il mondo, un tesoro che dovrebbe essere reso accessibile a tutti. L’Amicizia ebraico-cristiana giovani è un’esperienza significativa di confronto tra giovani di tradizioni diverse che permette di comprendere meglio la propria tradizione e di riconoscere le esperienze simili, ed è un’occasione di dialogo anche con l’ateismo.

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