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Disagio giovanile, dottoressa Verdecchia: “E’ opportuno che la famiglia si riappropri del ruolo educativo”

GROTTAMMARE – Tra solitudine e paura crescono i segnali di disagio psicologico del mondo giovanile durante la pandemia da Coronavirus. Un monito arriva anche dalle Nazioni unite, con la presentazione del rapporto con le linee guida sulla salute mentale e il Covid-19 esortando gli Stati membri nel mettere in atto azioni globali per la salute mentale.  A riguardo abbiamo sentito la dottoressa Maria Chiara Verdecchia pedagogista, psicologa clinica, counselor, mediatore familiare.

Dottoressa lei parla di “Ri-pensare l’educazione”, cosa significa?
Chissà per quanto tempo ancora  la pandemia sarà presente nella nostra vita. Per quanto, dovremmo sottostare ad un sistema sempre più bloccato in decreti, norme restrittive, confusione, disinformazione, negazione. Provo a ribaltare il ragionamento e chiedo a me stessa: “Voglio continuare ad adattarmi, nella speranza che le cose cambino, o decido di mettermi in gioco e ri-pensare la mia quotidianità in relazione all’ altro?”. Il filosofo Martin Buber scriveva: “Divento io nel tu; diventando io dico tu. Ogni vita reale è incontro. In principio c’è la relazione”. Più che mai, la razionalità torna ad essere indispensabile quando ci troviamo di fronte a una situazione complessa, sconosciuta e rischiosa. Grazie ad essa possiamo discernere le buone ragioni da quelle meno sensate, senza perdere di vista il sistema valoriale e il bene universale verso cui tendere. Ciò non deve essere solo appannaggio delle fasce adulte, ma un beneficio da insegnare, con audacia e fermezza alle nuove generazioni. Secondo L. Canfora, compito dell’insegnamento è quello di fornire agli studenti degli “anticorpi” rispetto alle “mode”, trasmettendo loro “stili di pensiero” che li allontanino dal “rumore esterno”.  I ragazzi andrebbero incoraggiati dalle loro famiglie, dalla scuola e da tutte le altre realtà educative, affinché riescano a distinguere e valutare la validità logica e la forza persuasiva delle informazioni con cui vengono a contatto, online e offline.

In tutto questo che ruolo hanno la famiglia e la scuola?
E’ opportuno che la famiglia si riappropri del ruolo educativo e insegni a vivere “umanamente” attraverso una maggiore apertura verso l’esterno, che non collimi solo con la realtà virtuale, ma con relazioni autentiche, sguardi attenti, ascolto e prossimità. La scuola, quale garante della formazione dei giovani, per insegnare lo spirito critico, può avvalersi del privilegio di un apprendimento cooperativo, nella misura in cui il ragionamento di gruppo, il dibattito regolamentato, la valorizzazione di ciascun talento e l’espressione di creatività, favoriscono la capacità di costruire conoscenze e competenze. Lo scambio reciproco permette infatti di ampliare i significati e   divenire più critici e meno autoritari. La scuola deve contribuire a questo scopo, rinunciando, talvolta, a creare alunni omologati che sono pieni di tante e uguali informazioni, sanno le stesse cose e allo stesso modo. Forse, così facendo, si riuscirà a parlare di una società democratica. La relazione educativa, didattica, pedagogica, formativa, ha bisogno del cuore dell’altro, del sentire, degli odori, dei sapori, del pensare e dell’esperienza narrata.

Per lei è importante adottare un nuovo modo di approcciarsi alla condizione giovanile, ci spieghi meglio.
Non è più tempo di continuare a produrre analisi e a compiangersi su ciò che non va.  Serve un cambio di paradigma nell’ approccio alla condizione giovanile, da un’ottica emergenziale e di analisi del disagio, a una di prevenzione e promozione del benessere, che faccia leva sui tre ambiti più importanti: la famiglia, la scuola e il territorio. Proviamo allora a ripensare il sistema di apprendimento sia formale che informale, caratterizzato da nuove metodologie e buone prassi mediante percorsi multidimensionali.  Servono nuovi luoghi di prossimità come opportunità di produzione culturale e creativi; spazi sicuri e ambiti di socializzazione controllata (laboratori di creatività, centri ricreativi, centri educativi per pre-adolescenti, centri educativi diurni, centri di aggregazione giovanile, ludoteche, Ludobus), così come iniziative finalizzate al recupero in chiave ludica di piazze, giardini, aiuole, parchi e spazi pubblici in generale, necessarie alla costruzione del rapporto tra infanzia/adolescenza e ambiente naturale.

Quali sono dunque le azioni da mettere in campo?
Nel contesto familiare occorre incentivare azioni socioeducative domiciliari, il sostegno alla genitorialità, il servizio di mediazione familiare, sostegni innovativi quali percorsi di gruppo, famiglie/persone di appoggio, ecc. A questo proposito è necessario ricordare la positività del progetto “una famiglia per una famiglia”, in collaborazione con la diocesi ed enti istituzionali, che ha condotto all’ elaborazione del modello di affiancamento familiare, una forma innovativa, pensata per sostenere famiglie che vivono un periodo problematico nella gestione della propria vita quotidiana e nelle relazioni educative con i figli. Infine, alla luce di tutto, l’augurio più grande, è di riuscire tutti insieme a costruire una rete sinergica e progettualità condivise per la realizzazione di una comunità educante.