DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Oggi vogliamo parlare innanzitutto di barche…sì, proprio di barche!

Leggiamo nel Vangelo: «In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la Parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennesaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti».

Due barche vuote, senza pescatori, senza reti a bordo, ferme sulla riva…Gesù non manca di notarle…sono le nostre vite fatte di sogni, di speranze, di desideri, vite che, spesso, sono arenate a riva e noi fuori, sulla spiaggia, a lavare e rassettare le reti dopo l’ennesimo tentativo di pesca andato a vuoto.

«Gesù salì in una barca, che era di Simone…»: Gesù vede quella barca arenata, il nostro fallimento, la nostra aridità, il nostro male, ma non rimprovera, non giudica, non impone nulla, anzi, vi entra dentro, com-patisce, partecipa, balza sulla barca della nostra vita senza indugiare.

«…pregò [Simone] di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca». Questa barca che nella notte non aveva riportato nulla a terra dalla pesca, ora diventa strumento indispensabile al Signore per parlare a tutta la gente che gli faceva ressa intorno. E questa necessità del Signore fa sì che Simone risalga sulla barca e torni a rimetterla in acqua, anche se ancora poco scostata dalla riva, quel tanto che basta a Gesù per far arrivare a tutti la sua voce.

Ma, finito di parlare alle folle, ecco che Gesù affonda il colpo. Si rivolge direttamente a Simone, interpellandolo, ora, nella sua esistenza concreta. Se prima egli aveva pregato Simone di fargli un favore, ora si indirizza a lui con autorità e determinazione: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca».

Dio ci raggiunge sempre alla fine di una notte infruttuosa, nel momento meno mistico che possiamo immaginare. Ci raggiunge alla fine delle nostre notti, quando siamo stanchi, impauriti, scoraggiati. Ci raggiunge con una Parola e ci chiede, su quella Parola, per quella Parola, un gesto di fiducia, all’apparenza inutile, ci chiede di gettare le reti dalla parte debole della nostra vita, di non contare solo sulle nostre forze, sulle nostre capacità. Ci invita a non stare ai bordi dell’esistenza a contemplare la vastità del mare struggendoci con sensi di colpa e recriminando sul male commesso.

Simone ascolta Gesù: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua Parola getterò le reti. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano».

Dall’inutile pesca precedente, condotta con le sole capacità umane, alla pesca abbondantissima compiuta in adesione alla Parola di Gesù, da una barca tirata a riva, vuota e sfinita, ad una barca fatta risalpare e riportata al largo e ora carica di pesci. Anzi, non solo una barca: «Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare».

Affidarsi alla Parola che è Cristo ridà vita non solo alla nostra esistenza personale ma anche all’esistenza di chi ci sta accanto.

Il finale di tutto ciò? «E tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Due verbi che descrivono chi si pone alla sequela di Cristo; al centro non c’è una dottrina ma una persona e un progetto di vita. E’ l’esperienza di Simone e dei primi apostoli; l’esperienza di Isaia, lo leggiamo nella prima lettura; l’esperienza di Paolo, lo scrive lui stesso alla comunità di Corinto, La loro chiamata non nasce da un ordine ma dall’esperienza di una Parola forte ed efficace, capace non solo di determinare una pesca straordinariamente abbondante, ma anche un “sì” proteso ad abbracciare tutta la vita.

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