DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Gesù è a Cafarnao, insegna nella sinagoga e, scrive l’evangelista Luca, «tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca…».

Alla fine dello stesso brano, riferendosi alle stesse persone, Luca scrive «all’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno…».

Ci facciamo, a questo punto, una domanda: che cosa è successo che fa capovolgere in modo così drastico la situazione? Cosa accade nel frangente tra queste due reazioni tanto diverse?

Accade che Gesù parla di due personaggi dell’Antico Testamento una vedova di Sarepta di Sidone, provata dalla carestia e Naaman, capo dell’esercito del re di Siria, malato di lebbra. Due pagani, lontani dalla religione ebraica, che conoscono, contro ogni logica religiosa del tempo (e purtroppo non solo di quel tempo), la guarigione e la salvezza. Due personaggi immeritevoli, che non potevano attendersi nulla dal Dio di Israele, ma che fanno esperienza della sua misericordia. E’ la logica dell’amore: non si dona a chi se lo merita ma “sconfina” ogni luogo, ogni tempo ed arriva ad ogni uomo.

E’ quello che scrive Paolo alla comunità di Corinto, quelle parole che noi conosciamo come “inno alla carità”. Paolo mette in guardia dal ricercare chissà quali grandi carismi: le grandi profezie, la grande fede che sposta le montagne, tutta la conoscenza sono nulla di fronte a quella carità quotidiana fatta di attenzione, di rispetto, di fiducia, quella carità che non verrà mai meno perché ci viene continuamente regalata dalla relazione con il Signore.

Ma i giudei presenti nella sinagoga non possono tollerare questa apertura, la gratuità dell’iniziativa salvifica di Dio verso tutte le genti. Infatti «si alzarono e cacciarono [Gesù] fuori della città fin sul ciglio del monte […] per gettarlo giù».

Questa è la sorte che, spesso, tocca al profeta, l’uomo chiamato dal Signore e che parla agli altri uomini con le parole e l’autorità che vengono da Dio. Ascoltiamo, a questo proposito, le parole che Dio rivolge al giovane Geremia, chiamato all’avventura della profezia: «Prima di formarti nel grembo materno ti ho conosciuto, prima che uscissi alla luce ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Geremia è voluto, amato, plasmato da Dio, un Dio che si prende cura di Lui, un Dio che lo consacra, cioè lo sceglie, lo “mette da parte”, lo riserva per sé, affinché possa diventare dono per tutte le genti. Un compito esaltante per la nobiltà dei contenuti ma che, concretamente, si traduce spesso in rischio. L’abbiamo visto nel brano evangelico e ce lo testimonia ancora lo stesso libro del profeta Geremia: «Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro […]. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».

Dio è presente nella vita di Geremia, il Padre è presente nella vita terrena di Gesù, il Signore è presente nella nostra vita con una Parola di verità che non toglie le difficoltà del vivere quotidiano ma dona forza, amore e saggezza per affrontarle.

Conclude, infatti, il brano evangelico che Gesù, «passando in mezzo a loro, si mise in cammino».

Gesù non fugge, non si nasconde, passa in mezzo alla folla mostrando che si può ostacolare la profezia ma non bloccarla, si può ostacolare la Parola ma questa sarà sempre in cammino.

 

 

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