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Sorelle Clarisse: Tutto quello che aveva

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto

Una filza è una serie di elementi tenuti insieme da un filo.

Il filo prezioso che attraversa tutte le letture di questa domenica è il grido di Gesù Crocifisso, che, come ci dice la seconda lettura, la lettera agli Ebrei: «è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di sé stesso», si è «offerto una sola volta per togliere il peccato di molti».

Il grido di Gesù crocifisso – «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» –  che pur sentendosi abbandonato da Dio a Lui si abbandona – «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» permette di cucire insieme la figura stessa di Gesù, Sommo Sacerdote che offre sé stesso, e le due figure femminili che incontriamo nella prima lettura e nel vangelo di oggi. Anzi ce le fa proprio leggere in sovrapposizione, in filigrana.

Queste due donne, due povere vedove, filmate dall’autore sacro probabilmente nel momento peggiore della loro vita, sono immagine di Gesù povero e abbandonato che si abbandona al Padre. Entrambe, esaurite le loro riserve di pane, di vita, si trovano a offrire l’ultimo boccone rimasto, l’ultima briciola di sostentamento, cioè la vita stessa, giocando il tutto per tutto su una Parola, una Promessa.

La prima è una straniera, una vedova di Sarepta di Sidone, alla quale viene espressamente inviato da Dio il profeta Elia affinché essa lo sostenga. In realtà la donna è al limite della disperazione e al profeta che le chiede un pezzo di pane risponde: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».

La donna che incontriamo nel vangelo invece nemmeno parla. Non ci saremmo accorti di lei se Gesù non avesse acceso un riflettore sulla scena e commentato a rallentatore i suoi gesti. La lucida disperazione che animava la vedova di Sarepta qui è scomparsa, ci sono solo i movimenti silenziosi e trascinati dalla stanchezza della povera donna che nel tempio offre tutta la sua vita, due monetine.

Il salmo responsoriale allarga ancora di più il campo, la cerchia dei sofferenti che si identificano con il Cristo: tutti i diseredati e i disperati della terra, coloro che si sentono abbandonati esattamente come Gesù in croce, possono confidare nella Parola e nella Promessa di Dio che, dice il salmo, rimane fedele per sempre.

Gli oppressi, gli affamati, i prigionieri, i ciechi, coloro che sono caduti e schiacciati dal peso della vita e degli eventi, i giusti, i migranti e i rifugiati, gli orfani e le vedove possono contare sulla fedeltà dell’Altissimo che rende giustizia, nutre, libera, ridona la luce e la capacità di vedere, rialza, ama, protegge, sostiene.

Il Signore Gesù ci mostra il volto di un Dio che non solo ha misericordia di noi, ma è diventato come noi per farsi nostro grido di abbandono nella nostra fatica e sofferenza.