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Tutto nell’abbraccio di un bambino

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto

Torniamo anche oggi, come la scorsa domenica, ad ascoltare Gesù, mentre «insegnava ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”».

I discepoli non riescono ancora ad entrare nella prospettiva di Gesù, lo abbiamo toccato con mano domenica scorsa, nelle parole di Pietro: tu sei il Messia, il Liberatore, il Trionfatore, non puoi essere un perdente, non puoi andare incontro alla morte.

E oggi? Dopo le ennesime parole di Gesù? I discepoli continuano a non capire ma non fanno domande, non chiedono spiegazioni e rimangono fermi sulle loro convinzioni.

Da cosa lo capiamo? Dai discorsi che fanno tra di loro, lungo la strada. Leggiamo nel vangelo che «avevano discusso tra loro chi fosse il più grande».

Desiderio di successo, dunque, non di sicuro l’eventualità di andare incontro alla morte.

Gesù non si scoraggia davanti a tanta incomprensione che, diciamoci la verità, è spesso anche la nostra, e non solo dei primi discepoli! Mette, invece, questi uomini di fronte ad un limpidissimo e stravolgente pensiero: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Ancora una volta il Signore ci invita a ricentrare completamente la logica della nostra vita, della nostra storia.

E come spiega Gesù, concretamente, questa nuova logica? «…preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me…».

Dio è abbraccio, Dio è accoglienza, è tenerezza; è, per usare le parole di San Giacomo, quella sapienza che viene dall’alto «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera».

Non stiamo parlando del progetto di vita di un fallito, di un sottomesso, di un prostrato nella umiliazione, di un uomo annientato in se stesso, di un perdente ma di un Dio che sa bene che il mondo non può essere e non è portato avanti dalla potenza, dalla ricchezza, dalla forza, dalla prepotenza, dalla sapienza secondo la logica umana.

Infatti, porre in mezzo e abbracciare un bambino, un piccolo, un povero, un indifeso, significa estendere il nostro sguardo e la nostra capacità di accoglienza a chi è come lui: ovvero a chi è senza importanza, a chi è marginale, non considerato, a colui che è particolarmente fragile e ha bisogno del sostegno altrui. È insegnare ai discepoli e a ciascuno di noi a porci, nei confronti di questi, non in un atteggiamento di superiorità ma come colui che serve, come colui che si fa servitore di tutti.

Questo è il posto che Gesù sceglie, questo è il posto di tutti coloro che desiderano mettersi alla sua sequela, questa è la strada per la quale siamo chiamati ad «entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo».

Questa strada e nessun’altra!