DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto

Attraverso Mosè, Dio chiede al popolo di non aggiungere altre normative e, allo stesso tempo, non togliere nulla alle leggi che Lui stesso ha dato a Israele; chiede, cioè, di osservare solo e solamente i comandi da lui prescritti. Perché, leggiamo nella prima lettura, questa sarà la saggezza di Israele e la sua intelligenza agli occhi dei popoli.
Nell’episodio del Vangelo che Marco ci presenta, invece, i farisei accusano i discepoli di Gesù di non osservare le prescrizioni e le regole della tradizione giudaica circa il lavaggio delle mani da fare prima di mangiare, le lavature di stoviglie, di bicchieri e altre regole del genere.
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?».
Gesù accusa questi farisei e questi scribi di insegnare dottrine che sono solo precetti di uomini, di osservare le tradizioni degli uomini trascurando il comandamento di Dio!
Perché Gesù se la prende così tanto?
Perché l’idea terribile che c’è sotto questo modo di pensare e agire è che per avvicinarsi a Dio occorra essere a posto: più sei puro, più puoi avvicinarti a Dio; più ce la fai a mantenerti integro, più Dio ti ricompenserà; più ti fai trovare a posto, irreprensibile, senza macchia, più sei un bravo e perfetto cristiano.
«Ipocriti», sentenzia Gesù. Lo dice agli uomini riuniti attorno a lui ma è un grido che arriva fino a noi oggi! Chi è l’ipocrita? È colui che ha l’atteggiamento contraddittorio di chi con le parole, dice una cosa e con i fatti, compie altro.
Dice infatti Gesù: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me».
È duro Gesù, la sua reazione è severa ma perché grande è la posta in gioco: si tratta della verità del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’autenticità della vita di fede.
La questione, infatti, non è essere o diventare puri in modo così da avvicinarsi a Dio, ma il contrario!
Cioè, prendere consapevolezza che, nella mia condizione di povertà, limite, fragilità posso nutrirmi della vita che mi viene incontro, proprio perché ho le mani sporche, condizione questa non di impedimento alla comunione con Dio, ma possibilità perché io la possa vivere in pienezza.
Gesù e il suo vangelo sono qui, oggi, a dirci e a farci fare memoria che ciò che salva è la fede, una fede che è accoglienza di un amore grande e non conquista morale. Ciò che conta agli occhi di Dio è il nostro cuore, perché è dal cuore che deve scaturire il culto da rendere a Lui con tutta la nostra vita. I comportamenti religiosi sono solo conseguenza di questo, e non devono mai mascherare o rendere secondario l’essenziale, cioè la nostra disposizione interiore, la limpidità della nostra coscienza, l’impegno leale della nostra libertà di fronte a Dio.
Il Signore ci invita a fuggire il pericolo di dare più importanza alla forma che alla sostanza. Ci chiama a riconoscere, sempre di nuovo, quello che è il vero centro dell’esperienza di fede, l’amore di Dio e del prossimo, purificandoli dall’ipocrisia e dal ritualismo.
Facciamo nostro, allora, l’invito di San Giacomo, nella seconda lettura: «Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi».

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