“Peculato ed abuso d’ufficio anche in concorso, nonché di subornazione”. Sono i reati di cui è accusato il card. Giovanni Angelo Becciu, rinviato a giudizio il 3 luglio, insieme ad altre nove persone e quattro società. Domani, nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, è in programma la prima udienza. Oggetto della citazione a giudizio dei dieci imputati è la vicenda legata agli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra, che “hanno generato consistenti perdite per le finanze vaticane, avendo attinto anche alle risorse destinate alle opere di carità personale del Santo Padre”, il cosiddetto Obolo di San Pietro, si legge nella richiesta di citazione a giudizio presentata dall’Ufficio del Promotore di Giustizia, nelle persone del Promotore Gian Piero Milano, dell’Aggiunto Alessandro Diddi e dell’Applicato Gianluca Perone. Chiamati in causa, oltre al card. Becciu, sono quindi il personale ecclesiastico e laico della Segreteria di Stato e “figure apicali dell’allora Autorità di Informazione Finanziaria, nonché personaggi esterni, attivi nel mondo della finanza internazionale”. L’iniziativa giudiziaria, inoltre, è “direttamente collegabile” alle indicazioni e alle riforme di Papa Francesco, nell’opera di trasparenza e risanamento delle finanze vaticane. Opera che, secondo l’ipotesi accusatoria, è stata contrastata da attività speculative illecite e pregiudizievoli sul piano reputazionale nei termini indicati nella richiesta di citazione a giudizio”.

Oltre a Becciu, sono stati citati in giudizio René Brülhart, al quale l’accusa contesta il reato di abuso d’ufficio; mons. Mauro Carlino, al quale l’accusa contesta i reati di estorsione e abuso di ufficio; Enrico Crasso, al quale l’accusa contesta i reati di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata; Tommaso Di Ruzza, al quale l’accusa contesta i reati di peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio; Cecilia Marogna, alla quale l’accusa contesta il reato di peculato; Raffaele Mincione, al quale l’accusa contesta i reati di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio; Nicola Squillace, al quale l’accusa contesta i reati di truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio; Fabrizio Tirabassi, al quale l’accusa contesta i reati di corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio; Gianluigi Torzi, al quale l’accusa contesta i reati di estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio. Quattro, infine, le società rinviate a giudizio: HP Finance LLC, riferibile ad Enrico Crasso, alla quale l’accusa contesta il reato di truffa; Logsic Humanitarne Dejavnosti, D.O.O., riferibile a Cecilia Marogna, alla quale l’accusa contesta il reato di peculato; Prestige Family Office SA, riferibile ad Enrico Crasso, alla quale l’accusa contesta il reato di truffa; Sogenel Capital Investment, riferibile ad Enrico Crasso, alla quale l’accusa contesta il reato di truffa. Taluni dei reati in questione vengono contestati anche “in concorso”.

Alle ore 20 del 24 settembre 2020 la Sala Stampa della Santa Sede aveva reso noto che il Papa aveva accettato la rinuncia dalla carica di prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al cardinalato presentata dal card. Becciu. Il giorno seguente, il porporato ha convocato una conferenza stampa presso l’Istituto Maria Bambina, in cui ha rivelato: “Il Papa mi ha detto che, dalle indagini della Guardia di Finanza italiana – immagino richieste dalla magistratura vaticana -, apparirebbe che io abbia commesso il crimine e il reato di peculato”. “Mi sento un pò stralunato e mi sembra tutto surreale, ma devo essere realista”, ha commentato: “Ieri fino alle 18.02 mi sentivo amico del Papa, fedele esecutore del Papa, e poi lui parlando mi ha detto che non ha più fiducia in me, perché gli è venuta una segnalazione dalla magistratura in base alla quale io avrei commesso atti di peculato”. “Era molto in difficoltà, ci soffriva anche lui a dire questo”, ha sottolineato Becciu a proposito del colloquio del giorno precedente, durato circa 20 minuti. “Mi sembra strano essere accusato di questo”, ha poi osservato, precisando che i 100mila euro che avrebbe distolto dai fondi destinati alla Caritas di Ozieri, sua diocesi natale, a favore della Cooperativa Spe, diretta da suo fratello, “in realtà sono rimasti lì, come mi ha assicurato e ha poi anche dichiarato il vescovo”. Quanto ai 300mila euro destinati alla stessa Cooperativa dalla Cei, anni prima, “per aiutarla ad organizzarsi”, il cardinale ha precisato che “si tratta di un’erogazione della Cei, ma il prelievo non c’è: quei soldi non erano miei, erano della Cei”. “Non capisco perché io venga accusato di favoreggiamento per la mia famiglia”, ha proseguito Becciu denunciando anche una campagna stampa sfavorevole da parte di alcuni giornali e annunciando querele per questo: “Chi ha scritto questi articoli, era determinato a far vedere che io ero corrotto”. “Con il Papa non abbiamo parlato del palazzo di Londra in Sloane Avenue”, ha precisato inoltre Becciu rispondendo alle domande dei giornalisti. Cosa succederà da oggi in poi? “Non lo so”, ha risposto: “Non ho commesso alcun reato e non ho avuto alcuna comunicazione da parte della magistratura. Sono pronto, vogliono che chiarisca e chiarirò, tanto più che sono un cittadino come gli altri”. Il cardinale, infatti, ha dichiarato di aver detto al Santo Padre: “Se non ha più fiducia in me, io rimetto il mio mandato, mi dimetto da Prefetto. Lui mi ha chiesto anche di rinunciare ai privilegi di cardinale, e io ho accettato. Mantengo la mia serenità e rinnovo la mia fiducia al Santo Padre. Gli ho promesso la mia fedeltà, anzi da vescovo ho promesso di dare la vita per la Chiesa e per il Papa. Non lo tradirò mai, sarò fedele e sono pronto a dare la vita per lui”. “Quando il Papa parlava – ha sottolineato ancora una volta Becciu – era turbato, faceva difficoltà a dirmelo. Ho accettato anch’io la cosa come un fulmine al ciel sereno e poi ci siamo lasciati”. “Spero che prima o poi il Santo Padre si renda conto che c’è stato un equivoco”, l’auspicio finale. Il 1° aprile scorso, a sorpresa, Papa Francesco si è recato nel pomeriggio presso l’abitazione di Becciu per celebrare insieme a lui la Messa in Coena Domini. Con il Motu Proprio del 30 aprile scorso, il Santo Padre ha stabilito che vescovi e cardinali dovranno essere processati come tutti gli altri, in tribunale con più gradi di giudizio anche se accusati di reati penali. Se rinviati a giudizio, quindi, non saranno più giudicati da una corte di Cassazione presieduta da un cardinale, come avveniva fino a oggi. Il Papa ha così modificato l’ordinamento giudiziario dello Stato vaticano promulgato a marzo 2020. Non cambia l’autorizzazione previa del Pontefice, ancora necessaria per portare cardinali e vescovi a processo.

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