COLONNELLA – Che si tratti della parabola della vedova persistente (in cui un giudice rinvia continuamente il momento in cui prendere in considerazione la sua causa) o della povera vedova che si reca al tempio per fare la sua offerta, la figura della donna che ha perso il proprio marito rappresenta sempre nei Vangeli, insieme agli orfani, una categoria di persone deboli, le più deboli della società, perché prive di qualsiasi protezione, povere, sole, senza difese e senza appoggi umani. A distanza di due millenni da quando i Vangeli sono stati scritti, molte cose sono fortunatamente cambiate, tranne purtroppo i sentimenti delle persone coinvolte. A raccontarci il suo dolore, c’è Cinzia Giuliani, 44 anni, vedova da un anno e mezzo, madre di tre figli, Francesco, Elisa e Luca, rispettivamente di 15, 11 e 10 anni, frutto dell’amore con il suo defunto marito Riccardo De Fulgentiis.

Come si affronta il dolore?
“All’inizio è stato un duro colpo. Ora si combatte, ma con serenità. La morte, infatti, è un po’ come il parto: non conosci la tua personale soglia del dolore finché non lo provi. Quando avevo Riccardo, tante volte ci siamo detti che non avremmo mai potuto immaginare una vita senza l’altro, io senza di lui e lui senza di me. Eppure è successo: mi sono ritrovata all’improvviso a dover fare i conti con un enorme dolore. Per ora lo sto affrontando, giorno per giorno, con tanta forza, quella forza per la quale ho pregato tanto e che ho chiesto fin da subito anche a mio marito sul letto di morte. Mentre era in coma, gli ho sussurrato più volte: ‘Non puoi lasciarmi così, devi almeno lasciarmi la tua forza.’ Questa è stata ed è la mia prima consolazione: sono sicura che la forza che ho mi arrivi da Riccardo, è come se una parte di lui fosse dentro di me per sempre. Qualcuno dice che sia solo una mia illusione; io, al contrario, ne sono convinta.
Un’altra consolazione grande poi mi viene dal fatto che abbiamo donato molti organi del suo corpo, restituendo una speranza di vita ad alcune persone che erano da tempo in attesa di un trapianto. Sapere che una parte di mio marito ancora sopravvive in qualcuno, mi dà conforto e sollievo, mi fa pensare che lui abbia voluto compiere un ultimo atto di generosità e che la sua morte abbia avuto un senso.
Poi mi sono di consolazione i molti ricordi di mio marito. Riccardo mi ha lasciato solo bei ricordi, non perché non ci fossero litigate o problemi, bensì perché la mia mente ha rimosso le cose brutte ed ha mantenuto solo quelle belle. La morte fa anche questo. Io ricordo quando ci siamo messi insieme, i viaggi che abbiamo fatto, quando ci siamo sposati, quando sono arrivati i nostri meravigliosi figli. A me e a loro dico sempre che siamo stati molto fortunati ad aver avuto con noi per tanti anni un uomo come lui che ci ha lasciato tanto: per questo dobbiamo essere comunque felici. Lui vive in noi attraverso gli insegnamenti e l’amore che ci ha dato ed i ricordi, tanto che spesso tutti noi, ma soprattutto Luca ed Elisa dicono: ‘Papà diceva’, ‘Papà faceva’, … In questo senso Riccardo sarà con noi per sempre.
Infine un’ultima consolazione mi arriva dalla mia comunità che non mi ha mai fatto sentire sola. Al funerale hanno partecipato tantissime persone, mi sono sentita avvolta dal loro abbraccio, protetta e confortata. Ho ricevuto tanti gesti di generosità e di vicinanza. Si è mossa un’intera comunità che continua a farmi sentire la sua presenza fraterna, concreta ed amorevole.”

Come la fede ti sta aiutando in questo difficile e doloroso momento?
“La fede non è un mezzo per risolvere le prove che la vita ci riserva, bensì un mezzo per accettarle. In questo senso mi è di molto conforto. Ci sono giorni in cui cado e non riesco ad alzarmi, giorni in cui piango a dirotto e grido: ‘Perché, Signore?’ Perché a me?’ E mi sento anche in colpa: penso, infatti, di non avere così tanta fede, se parlo così. Ma poi mi dico che anche Gesù ha avuto momenti di scoraggiamento in cui ha chiesto al Padre: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ Allora mi faccio forza e mi dico che posso farcela, che devo farcela. Penso anche ad altre donne che hanno età e storie diverse dalla mia, ma vivono un dolore grande come il mio, anzi per alcune la situazione è anche peggiore della mia: io ho un carattere socievole e soprattutto tre figli a cui badare, quindi mi tengo occupata e riesco ad esternare il mio dolore; al contrario, ci sono donne più avanti con gli anni, magari con i figli adulti, che si ritrovano a vivere una maggiore solitudine. A tutte le donne come me o come loro, che stanno cercando di superare un lutto così devastante, voglio dire che dobbiamo farci coraggio, che dobbiamo vivere apertamente il nostro dolore, per poterlo superare; dobbiamo riconoscere la nostra nuova condizione ed accettarla, anche se non è facile.
A livello pratico, la prima cosa da fare è recuperare una certa autonomia ed indipendenza. In una coppia spesso ci si dividono i compiti e, quando uno dei due viene a mancare, ci si ritrova a dover fare cose di cui prima si occupava l’altro. Così si avverte ancora di più la mancanza. Ci sono cose che magari ci sembrano macigni; invece, con un po’ di buona volontà ed un po’ più di fiducia in se stesse, ci si accorge di poter riuscire ad affrontarle anche da sole. Io, ad esempio, non ho mai guidato al di fuori del circondario; ora, invece, per necessità, vado ad Ascoli Piceno, a Pescara, prendo l’autostrada. Lo stesso vale per alcuni piccoli lavori di manutenzione in casa: l’altro giorno mi si era rotta l’anta di un mobiletto in bagno, ho quindi preso il cacciavite, ho sostituito il pezzo rovinato e l’ho rimontato.
A livello interiore, invece, superare la perdita è più difficile. Per quanto mi riguarda, tra me e Riccardo c’era una complicità tale che l’amore che ho provato non può terminare con la sua morte. Non so quali saranno i tempi di elaborazione. Forse l’unica cosa che posso fare è accettare quello che è successo, anche se non mi piace, anche se mi fa male. In questo la fede mi aiuta tantissimo. Anch’io, come Gesù, sto portando la mia croce. Mi sento come Lui mentre si avvicina al Calvario, quando avverte greve il peso della croce e cade, cade più volte, ma, nonostante le percosse, ogni volta si rialza e continua a camminare. Questa immagine me la ritrovo sempre in testa e mi dà tanta forza. E più mi avvicino a Dio e più mi sento vicina a Riccardo. Quando vado a Messa, vivo profondamente il momento dell’Eucarestia e mi convinco che la vita eterna esista. Se non ci fosse, che senso avrebbe la nostra vita? Siamo forse nati per morire?! Io non credo. Io credo che ci aspetti qualcosa di più, altrimenti le nostre azioni non avrebbero senso. Lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry scriveva: ‘Ciò che dà un senso alla vita, lo dà anche alla morte’. E per me, che sono cristiana, c’è una sola cosa che dà senso alla vita e alla morte. E non è una cosa, bensì una persona: Cristo.”

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