Daniele Rocchi

È ora di porre fine a questa lunga guerra – ha detto Biden – solo gli afghani hanno il diritto e la responsabilità di guidare il loro Paese. Gli Usa hanno raggiunto il loro obiettivo in Afghanistan 10 anni fa quando il leader di al Qaeda, Osama bin Laden, fu ucciso da un commando americano”. Il ritiro dall’Afghanistan sarà completato entro l’11 settembre, esattamente 20 anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle, che scatenò (7 ottobre 2001) l’operazione Enduring Freedom contro il regime talebano. Secondo il presidente Usa, “il ritiro sarà ordinato, non precipitoso e coordinato con gli alleati Nato”. Questi ultimi hanno avallato la decisione americana e ritireranno il proprio contingente sempre entro l’11 settembre. Torneranno in Italia anche gli 800 militari di stanza nel Paese asiatico. Sul ritiro militare Usa e Nato il Sir ha chiesto un parere a padre Giovanni Scalese, sacerdote barnabita, responsabile della Missio sui iuris in Afghanistan, istituita nel 2002, da Giovanni Paolo II. Nella capitale afghana sono attive le suore Missionarie della Carità e dell’associazione interconfessionale “Pro Bambini di Kabul”. La presenza cristiana e cattolica in Afghanistan è limitata ai pochi funzionari delle sedi diplomatiche e delle organizzazioni internazionali.

Padre Scalese, come giudica la decisione del presidente Biden?
Difficile esprimere un giudizio sull’annuncio del ritiro delle truppe degli Stati Uniti e della Nato dall’Afghanistan entro l’11 settembre 2021. Meglio prendere semplicemente atto della decisione. Si tratta, del resto, di una decisione che era stata già presa dalla precedente amministrazione americana. Chi pensava che fosse sufficiente un cambio della guardia alla Casa Bianca per provocare un ripensamento evidentemente non si rendeva conto che ormai l’impegno militare americano (e degli altri Paesi della Nato) era diventato insostenibile e, di fatto, senza prospettive. L’unica novità sembrerebbe la proroga del ritiro di qualche mese, proroga che probabilmente sarebbe stata in ogni caso necessaria.

Quali rischi potrebbe comportare per l’Afghanistan il ritiro delle truppe della Coalizione?
Innanzitutto, la sicurezza. Sarà in grado il Governo afghano di garantirla? È lecito nutrire qualche dubbio in proposito. Così come è più che legittimo avanzare qualche perplessità sulla reale capacità del Governo di far funzionare la macchina dello Stato senza poter contare sul sostegno finanziario dei Paesi occidentali.

È vero che tutti giurano ora che non abbandoneranno l’Afghanistan e continueranno a sostenerlo; ma un conto sono gli interventi della cooperazione, un altro il regolare sovvenzionamento delle istituzioni. Non mi pare che in questi anni sia stato fatto molto per il rilancio dell’economia afghana, anche perché la situazione non lo permetteva; per cui non so come un Paese senza un’economia che funzioni possa andare avanti.

Pensa che in queste condizioni il Paese possa ripiombare nella guerra civile?
È questo il rischio più grave. Finora le trattative fra il Governo e i talebani (previste dagli accordi di Doha del 29 febbraio 2020 tra Usa e talebani, ndr.) non sono mai partite seriamente o comunque non hanno portato ad alcun risultato. Il progetto era quello di formare un governo di transizione, di unità nazionale, per poi giungere a libere elezioni che avrebbero deciso chi dovesse governare.

Ma se le parti non si parlano, come si può formare insieme un governo? Molto più facile far parlare le armi…

Cosa potrebbe accadere se i talebani dovessero prendere il sopravvento? Il presidente americano li ha ammoniti a tener fede “ai loro impegni” contro il terrorismo mettendoli in guardia che gli Usa chiederanno loro conto su quanto accadrà in Afghanistan.
Anche se i talebani dovessero avere il sopravvento, perché meglio organizzati e finanziati, non credo che possano illudersi di restaurare l’Emirato islamico, come se questi vent’anni non fossero esistiti. Potranno pure imporre una nuova Costituzione – del resto, l’attuale Costituzione prevede già una “Repubblica islamica” – ma non potranno pretendere di cancellare le libertà o ignorare i diritti a cui gli afghani, in questi anni, si sono abituati. Non dimentichiamo che i giovani non hanno conosciuto l’Emirato e sono cresciuti in questa nuova realtà.

Le donne, contrariamente a quel che si pensa, sono una presenza numerosa, qualificata e attiva nella società afghana; sarebbe impensabile volerle rinchiudere di nuovo in casa o dentro un burka.

Non resta che attendere, per vedere come si evolverà la situazione. Come cristiani, non possiamo che sperare in una evoluzione positiva, che ridia, dopo tanti anni di violenza, un po’ di serenità a questo Paese.

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