M. Chiara Biagioni

“Certo che ero lì e c’era anche l’arcivescovo di Parigi”. Ad accompagnare questa mattina il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron in visita al grande cantiere della cattedrale Notre-Dame, c’erano anche l’arcivescovo di Parigi, mons. Michel Aupetit, e il rettore della cattedrale, mons. Patrick Chauvet. “Eravamo con lui in visita al cantiere per fare il punto della situazione a due anni dall’incendio, per verificare sul posto tutto il lavoro che è stato fatto fino ad oggi”, racconta mons. Chauvet al Sir. “Il Presidente ha ringraziato l’insieme dei lavoratori che sono impegnati nella ricostruzione e restauro. Si è detto molto impressionato dallo stato avanzato dei lavori. Abbiamo parlato anche delle prospettive future: restano ancora tre anni per portare a compimento l’insieme dei lavori”.

In effetti, Macron si è impegnato perché la cattedrale possa essere restituita ai fedeli e ai visitatori per il 2024. Lei crede che sia una data possibile?
Spero, lo spero veramente. Il Presidente stesso ha detto che questa data può essere possibile. È una sua promessa. Ci sono tutti gli elementi perché questa promessa diventi realtà”.

Sono passati due anni. Cosa vi ricordate di quel giorno?
Cerco di non ricordare perché è stata una tale prova per me, vedere la cattedrale divorata dalle fiamme, che preferisco non ricordare e voltare pagina. Non riesco neanche a rivedere le immagini dell’incendio, perché mi provocano un grande dolore. In questi giorni sto dicendo che non celebro l’anniversario dei due anni dell’incendio di Notre-Dame quanto piuttosto la Resurrezione della cattedrale. Quello che mi interessa è il futuro.

Un futuro al quale hanno contribuito ben 340.000 donatori in tutto il mondo, che hanno reso possibile la raccolta di circa 833 milioni di euro. Perché, secondo lei, Notre-Dame ha suscitato una risposta così ampia e trasversale?
Credo anch’io che sia importante porci questa domanda. Se i parigini, se i francesi e al di là delle nostre frontiere, così tante persone sono state toccate dall’incendio, è perché Notre-Dame rappresenta la storia della Francia. Notre-Dame è San Luigi con la Corona di Spine, è il luogo della consacrazione della Francia con Luigi XIII, è l’incoronazione di Napoleone, è Charles De Gaules che entra nella cattedrale alla fine della Seconda guerra mondiale, è il luogo in cui il nostro Paese si ritrova unito ogni volta che qualche dramma lo colpisce. È pertanto un luogo di comunione. Mi sono reso conto viaggiando che non si dice più Notre-Dame di Parigi ma solo e semplicemente Notre-Dame perchéla cattedrale ormai appartiene a tutti e questo spiega l’emozione, l’affetto e l’amore dimostrato dalle persone attraverso le donazioni. Nostra Signora è antica, è stata ferita ma è ancora lì, in piedi.

Avete riflettuto come Chiesa parigina su come poter utilizzare la cattedrale per riappassionare le persone al messaggio cristiano?
E’ quello che ci sta più a cuore quando le persone potranno di nuovo entrare nella cattedrale. Certamente i visitatori potranno provare uno choc estetico, perché la cattedrale è una meraviglia dal punto di vista artistico e architettonico e la ritroveranno restaurata e ripulita. Ma noi vorremmo anche che lo choc estetico si trasformi in choc spirituale proponendo ai visitatori di fare un percorso, ad immagini, alla scoperta della Bibbia dalla prima pagina alla Resurrezione. Vorremmo accompagnare quindi le persone all’incontro con l’invisibile. L’anima della cattedrale è Maria e Maria ci conduce a Gesù.

E’ il linguaggio dell’arte che si unisce al linguaggio dell’anima.
Sì, proprio così. Il culto e la cultura hanno la stessa radice. La cattedrale è stata costruita per dare gloria a Dio. Non sarà mai un museo.Anche se al suo interno si possono trovare opere preziose, la cattedrale nel suo insieme non sarà mai un museo.

In un mondo provato dalla pandemia, quale messaggio può dare questa “Resurrezione” possibile di Notre-Dame?
La speranza. Siamo in un mondo toccato profondamente dal dramma dell’epidemia. Vediamo che le persone cominciano ad abbassare le braccia, molti sono stanchi e avviliti. Vediamo anche crescere le tensioni e l’unica cosa che in un contesto simile ci può aiutare a non cadere del tutto, è appunto la speranza.È giusto cercare tutti i mezzi per fermare la diffusione del virus. Ma per vincere veramente questa battaglia, occorre non perdere la speranza.

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