Stefano De Martis

Questo mese di aprile è decisivo per il futuro del Paese. La lotta al Covid-19 è vicina a un punto di svolta ed è proprio in queste settimane che dalla campagna vaccinale, unita ai comportamenti responsabili dei cittadini, ci si attende il segnale inequivocabile di un’inversione di tendenza in positivo. Parallelamente verrà a compimento il processo di elaborazione e approvazione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” che entro fine mese dovrà essere presentato a Bruxelles perché l’Italia possa accedere alle risorse straordinarie del Next Generation Eu.
Una fase cruciale che trova un Paese provato e ferito, chiamato a stringere ancora i denti per non disperdere – proprio in quello che appare come il fatidico, ultimo miglio – quel capitale di sacrifici che pur con alterne vicende è stato accumulato in oltre un anno di pandemia. La fatica del presente rischia di annebbiare lo sguardo sul futuro e su questo terreno è la politica che dovrebbe lanciare messaggi chiari e convincenti. Purtroppo, invece, tra le stesse forze che pure sostengono il governo Draghi – impegnato con determinazione sui diversi fronti aperti – c’è chi continua ad alimentare confusione e disorientamento nell’opinione pubblica e a cavalcare ambiguamente le difficoltà di tanti cittadini come se le responsabilità, a Roma o nelle Regioni, fossero di altri. Una doppiezza che è funzionale a raccogliere un consenso di corto respiro e che, se rende più ardua la già problematica gestione quotidiana, tanto più non contribuisce a costruire il domani. A pagare il prezzo più alto saranno saranno le nuove generazioni che fin d’ora risultano fortemente penalizzate.
Ma “nessuno può togliere ai giovani la speranza del futuro perché oscurerebbe il futuro dell’intera comunità”, ha affermato nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica in una dichiarazione per i 140 anni della nascita di Alcide De Gasperi. E ha aggiunto: “È questo un compito che accomuna quanti rivestono responsabilità pubbliche e tutti i cittadini. Compito che nei momenti di crisi più acuta diviene ancora più esigente perché pone il bene comune nel massimo rilievo”.
È stato lo stesso Sergio Mattarella a stabilire un ponte tra la situazione attuale e la lezione dello statista trentino, sottolineando come “ricostruzione, ripartenza, rinascita sono parole di allora che ricorrono in questi nostri giorni”. Il Presidente ha rievocato i momenti che seguirono il referendum del 1946, con le “ambigue esitazioni di parte monarchica” e una “incertezza insidiosa per la sopravvivenza stessa dello Stato italiano”. A fronte di esse, la “capacità di visione” di De Gasperi lo condusse a orientare la politica “al superamento di fratture sociali” che erano “impedimento alla crescita del Paese” e a dare “nuovo fondamento all’idea di Patria”, respingendo i “nazionalismi regressivi” e puntando invece sulla “scelta occidentale” e sul “progetto di unità europea”. Un’indicazione limpida sui criteri di fondo di una ricostruzione che, oggi come allora, non può che essere “morale, civile, economica, democratica”.

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