Pierbattista Pizzaballa

Quest’anno la diocesi di Gerusalemme celebrerà con ritmi e tempi diversi, sia per la pandemia – che in alcune parti è ancora molto violenta – sia per i diversi calendari della Pasqua. Alcune regioni della diocesi, infatti, come Palestina e Giordania, sono nel pieno di una nuova ondata di contagi, purtroppo con molte vittime, che costringe a chiusure rigide. Altre regioni, come Israele, stanno invece ritornando alla vita normale. Una buona metà della diocesi, inoltre, celebra la Pasqua secondo il calendario ortodosso, che quest’anno cade il 2 maggio. La stragrande maggioranza delle famiglie, infatti, è composta sia da cattolici che da ortodossi, mischiati tra loro per via dei matrimoni. Situazioni, dunque, completamente diverse le une dalle altre: alcune zone saranno chiuse a causa della pandemia, altre saranno ancora all’inizio della quaresima ed altre potranno invece celebrare quasi normalmente la Pasqua. In Terra Santa non è così insolito.

Gerusalemme, per la Pasqua, non vedrà  la presenza di una parte importante per la nostra chiesa: i pellegrini. I confini sono ancora chiusi e molti non possono venire a causa delle limitazioni nei loro rispettivi Paesi. A Gerusalemme le liturgie della Settimana Santa hanno una caratteristica particolare: sono “mobili”, perché nella Città Santa si celebra il mistero nel Luogo in cui esso è avvenuto. Per cui si vedono processioni dal passo affrettato di sacerdoti e religiosi, inseguiti da fedeli locali e pellegrini, che corrono dal Cenacolo al Getsemani, alla Via Dolorosa e infine al Sepolcro. Tutta la città respira e si muove con il ritmo delle solenni liturgie tradizionali e dal sapore antico, come qui ancora piace.

Nel mese di aprile Gerusalemme sarà al centro di una lunga serie di celebrazioni per tutte e tre le fedi monoteiste. Si inizia con la Pasqua ebraica, che cade proprio nella Domenica delle Palme, seguita dalla Settimana Santa e la Pasqua cristiana secondo il calendario gregoriano. Il Ramadan musulmano inizia intorno alla metà del mese, seguito a sua volta dalla Pasqua ortodossa il 2 maggio. Tutta la città, dunque, in modi e tempi diversi, sarà il cuore della preghiera di intere popolazioni. Si avvera così quanto predetto dal profeta Isaia: “la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7).
Il vangelo di Pasqua parla di Pietro e Giovanni che corrono al Sepolcro, ciascuno con i suoi tempi. Entrano e vedono che i simboli della morte, il sudario e i teli, non tengono legati più nessuno: la morte è svuotata del suo potere.

È ciò che oggi ciascuno di noi è chiamato a fare: entrare nei luoghi della morte, sul limite del sepolcro, per vedere e per credere che nonostante la morte continui a fare paura, essa in realtà non ha più potere.

Siamo chiamati a vedere che i segni della morte sono ancora presenti, in noi e fuori di noi, ma a credere nella potenza di un Amore venuto nel mondo per sconfiggere quel nemico che l’uomo, da solo, non avrebbe mai potuto affrontare.

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