Andrea Casavecchia

Il servizio civile è un’esperienza importante per le giovani e i giovani che scelgono di svolgerlo, ed è un investimento di prospettiva per un Paese che decide di promuoverlo. Eppure, i dati ci indicano una continua incapacità dell’Italia a rispondere alle domande che ogni anno vengono inoltrate dagli aspiranti volontari. Coinvolgere le nuove generazioni in attività per il bene comune è una politica attiva che risveglia risorse e diffonde un senso di condivisione della responsabilità. Andare verso una sua maggiore diffusione arricchirebbe il panorama delle politiche giovanili e aiuterebbe a ridurre la sensazione di marginalità nella quale sembrano relegati i giovani in Italia.
Anche quest’anno, sebbene sia stato incrementato il budget per finanziare le attività, non sarà possibile soddisfare tutti gli aspiranti: sono arrivate 125mila domande a fronte di soli 55mila posti finanziati dal bando. Gli stessi enti riconosciuti che gestiscono e coordinano i volontari sul territorio, nelle varie regioni, avrebbero richieste superiori e potrebbero accogliere almeno altri 10mila volontari. Servirebbe dunque un’ulteriore riforma per riorganizzare il “Servizio civile universale” In modo da poter incrementare il numero dei posti, e per qualificare e orientare sempre meglio i progetti che possono essere realizzati per i più fragili, per la comunità, per il territorio, per la cultura e per l’ambiente. Inoltre, estendere la platea dei volontari significa riuscire a coinvolgere anche i meno qualificati, perché al momento la selezione favorirà quanti hanno raggiunto un titolo di studio superiore. Una ricerca evidenzia che il 20% è laureato e che circa un altro 65% ha conseguito un diploma superiore (e magari sta frequentando l’Università).
Queste esperienze sono occasioni – se vissute nel modo corretto – per spronare i giovani a essere protagonisti della loro città, inoltre sono episodi che possono qualificare la biografia di una persona per renderla più matura e consapevole. Una proposta del sociologo Maurizio Ambrosini suggerisce l’idea di un “piano straordinario” da destinare a progetti sulle periferie per rinnovarle e valorizzare. In questo modo si potrebbero da un lato coinvolgere i giovani più istruiti, dall’altro recuperare quanti non riescono a trovare un orientamento e finiscono per abbandonarsi all’inerzia, come quelli che non studiano e non lavorano, oppure quanti hanno imboccato strade sbagliate e sono stati colpiti da provvedimenti penali.
Così permettere che il Servizio civile diventi davvero universale aiuterebbe anche a creare connessioni e cooperazione tra persone di origine diversa, l’elaborazione di progetti complessi potrebbe favorire nuovi incontri arricchenti.

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