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Povertà. Don Zappolini: “Fare scelte coraggiose che antepongano il bene comune agli interessi economici”

Gigliola Alfaro

L’epoca in cui viviamo è contraddistinta da una serie di cortocircuiti che riproducendosi, senza soluzione di continuità, originano e accrescono le diseguaglianze tra le persone, traducendosi in sempre maggiori gravami di povertà, soprattutto per i più fragili. Cortocircuiti riconducibili a condotte di tipo speculativo e affaristico, senz’altro appannaggio di “pochi”: parte da qui il dossier promosso dal Cnca “Cortocircuito. Come la spirale del debito impoverisce il tessuto sociale”, realizzato da Filippo Torrigiani e da don Armando Zappolini, con l’intento di “di mettere in evidenza alcuni aspetti spesso sottaciuti e sconosciuti a tanti, con l’auspicio di riuscire a veicolare, tra l’opinione pubblica, un messaggio di profonda preoccupazione per ciò che sta avvenendo anche nei luoghi in cui viviamo, sulla pelle delle persone che magari conosciamo”. Nell’introduzione all’ultimo Consiglio episcopale permanente della Cei, il cardinale presidente Gualtiero Bassetti, analizzando la situazione attuale gravata dall’emergenza sanitaria, ha evidenziato che “si fa purtroppo sempre più pressante la frattura delle nuove povertà rispetto alle quali i dati sono deflagranti”, come dimostrano gli ultimi della Caritas, richiamati anche dal premier Mario Draghi, nel discorso al Senato. Con don Armando Zappolini, portavoce della Campagna “Mettiamoci in gioco” e direttore della Caritas diocesana di San Miniato, già presidente del Cnca, riflettiamo sull’indebitamento e le sue cause.

Qual è l’obiettivo del dossier?

Con “Cortocircuito” vogliamo scavare sulle cause dell’indebitamento e sulle ipocrisie che sono sotto a questo sistema.

Noi abbiamo evidenziato in particolare il rapporto tra banchi di pegni, Compro oro, usura. Ad esempio, denunciamo chese da una parte il sistema bancario e creditizio non si è rivelato prodigo nel concedere liquidità né ai giovani né tantomeno alle imprese, soprattutto a quelle di piccole e medie dimensioni, dall’altro i banchi di pegno, presenti e disseminati su tutto il territorio nazionale, risultano di proprietà proprio di una quarantina di banche.In Italia sono in media tra le 270.000 e le 300.000 le persone delle più composite estrazioni sociali che, ogni anno, ricorrono al sistema dei pegni, le cui performance muovono un volume d’affari complessivo di circa 800 milioni di euro. C’è qualcosa che non funziona! Ricordiamo anche che le banche sono ben presenti nel mercato dell’intermediazione finanziaria diretta alla commercializzazione delle armi o fanno investimenti nel settore delle industrie che estraggono e commercializzano combustibili fossili. Non c’è attenzione ad arginare le povertà né alla salvaguardia del Creato.

Anche il gioco d’azzardo spinge parecchi in situazioni di precarietà…

Il dossier offre un’ulteriore prova di quanto sia urgente bloccare la crescente povertà di tante persone, cominciando con il limitare tutto ciò che la provoca. Se in Italia si parla di 1 milione e 700mila famiglie povere, si devono andare a cercare i fattori di rischio. El’azzardo, nelle sue molteplici forme, è sicuramente una delle cause più evidenti di povertà, anche per i processi di indebitamento che produce.E anche qui ci sono ipocrisie: c’è uno Stato che ogni anno mette in bilancio dieci miliardi dal gioco d’azzardo, ma non può fingere di non sapere cosa produce il fenomeno né voltarsi dall’altra parte quando viene chiesto di limitare il settore.Nel 2020 ci sono stati minori incassi sul gioco d’azzardo per il lockdown, ma anche meno persone malate, meno famiglie distrutte: questa esperienza ci insegna qualcosa o dopo il Covid si inizia di nuovo tutto come prima?

Dovremmo fermarci a riflettere sul fatto che il sistema bancario, non mostrando disponibilità verso le fragilità delle famiglie, è come se le spingesse tra le braccia di banchi di pegno, usurai, Compro oro; ugualmente lo Stato potrebbe avere più attenzione a tutelare le fragilità e non il gioco d’azzardo, mettendo dei limiti alle giocate, al tempo di gioco, riducendo l’offerta e disponendo il posizionamento delle macchinette e delle sale scommesse lontano da luoghi sensibili.Noi vorremmo che ci fosse un temporaneo cortocircuito, come quando due fili si toccano, fanno contatto e salta tutto l’impianto. Alcune situazioni, infatti, richiedono uno stop and go. Fermiamoci un attimo e tiriamo fuori qualche idea dai fatti e dai dati. Il Papa lo dice, il card. Bassetti lo dice, la Caritas lo dice, Draghi lo ricorda. Sapere di cosa si muore è consolante, ma è molto più consolante curarsi ed evitare di morire.

Lei ha citato anche i Compro oro…

Negli ultimi anni i Compro oro hanno avuto un grande exploit; in particolare, nel 2018 le licenze per il commercio di preziosi erano, in Italia, 24.877; nel 2019 le licenze in corso di validità hanno raggiunto quota 29.511. Nella campagna Mettiamoci in gioco denunciamo da anni la vicinanza fisica tra sale giochi e Compro oro, che si collocano dove c’è il mercato: chi perde soldi alle macchinette, cerca di recuperarne altri per giocare ancora. Ma quali garanzie ci sono? Dovrebbe essere applicata la quotazione dell’oro usato in corso, ma le persone, prese dalla disperazione, accettano cifre molto più basse del valore degli oggetti.Mi sembra che quando c’è da difendere gli interessi delle banche o dello Stato ci siano vincoli molto chiari, quando si tratta di difendere i diritti della gente comune le cose cambiano.

Cosa volete chiedere alla politica?

Chiediamo di fare scelte coraggiose che antepongano il bene comune agli interessi economici.

I numeri sono persone, sono storie vere di fatica e di dolore che non ci possono lasciare indifferenti. Con la Caritas stiamo facendo da garanti a persone con stipendi modesti o con lavoro precario, come una grande fetta degli italiani, perché nessuno affitta più case. I dati della Caritas non chiedono ancora attesa o temporeggiamenti.Allora, dobbiamo proporre alla politica – e come associazioni lo facciamo – la lettura della Laudato si’, perché contiene il programma politico ed economico del futuro e dello sviluppo possibile, che apre anche la strada a nuove economie e a nuove possibilità positive.C’è il discorso dell’emergenza climatica, del nuovo che avanza. Si parla di welfare in termini economici, non di bontà, non di etica: aiutare le persone meno fortunate a diventare di nuovo produttive produce ricchezza e vita, è un’esigenza anche del capitalismo. Più che piccole scelte è un cambiamento di prospettiva.