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A tu per tu con il Prof. Maurizio Parato, primario di Cardiologia presso l’ospedale Madonna del Soccorso

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Prosegue il nostro viaggio all’interno delle corsie ospedaliere per incontrare i primari di alcuni reparti dell’Ospedale Civile Madonna del Soccorso della nostra città. Oggi ospitiamo il Prof. Vito Maurizio Parato, Direttore Medico dell’Unità Operativa di Cardiologia Riabilitativa. Dopo aver ottenuto la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Modena nel 1988 con la votazione di 110/110 con lode, ha conseguito il Diploma di Specialità in Cardiologia presso lo stesso polo universitario e sempre con lode. Ha poi proseguito la sua formazione seguendo ed acquisendo numerosi stage e master sia in Italia (a Milano, Pisa e Camerino) sia all’estero (a Chicago negli USA e a Londra nel Regno Unito). Professore a contratto presso l’Università Politecnica delle Marche (Facoltà di Medicina e Chirurgia), è – in ambito internazionale – Revisore di riviste scientifiche, autore di 168 pubblicazioni e speaker in 118 conferenze. Negli anni si è contraddistinto per innovazione e ricerca: al momento, il reparto di Cardiologia che dirige è al primo posto in Italia per la sperimentazione del farmaco anticoagulante del futuro, che garantirà una protezione totale dall’ictus con un rischio di emorragia molto vicino alla zero.

Com’è la situazione attuale nel suo reparto?
La Cardiologia di San Benedetto del Tronto ha 18 posti letto di cui 4 di terapia intensiva. I cardiologi in servizio sono 7, mentre gli infermieri 16. Per il momento non abbiamo avuto contagi tra i pazienti. Due casi tra gli operatori sanitari. Nel 2020 il reparto è diventato Covid dopo una fusione con il reparto di Pneumologia di Ascoli Piceno. Al momento, invece, il reparto è No-Covid, ma il flusso di pazienti è raddoppiato, dovendo accogliere anche pazienti che non possono più essere assegnati a Medicina, Geriatria o Medicina d’Urgenza divenuti Covid.

Come è cambiata la vita in reparto da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
Lo scenario è cambiato radicalmente dal Marzo dello scorso anno, quando il reparto è diventato Covid, unificandosi con Pneumologia e diventando unità subintensiva cardio-respiratoria. È iniziata così la sfida con i dispositivi di protezione che, almeno all’inizio, costituivano una sorta di impedimento nel compimento degli atti medici sui pazienti. Abbiamo ricevuto pazienti da tutta la regione (Urbino, Pesaro, Fermo, Macerata). Erano pazienti gravi, post-intubazione o pre-intubazione. Abbiamo fatto un gran lavoro assieme allo staff di Pneumologia e alle nostre fisioterapiste, Alessandra e Simona, che sono state davvero encomiabili. La mortalità è stata molto bassa. E’ stata una grande esperienza di vita e professionale che ha legato indissolubilmente i due staff. Ringrazio Vittorio D’Emilio, primario pneumologo, e tutto il suo staff per la splendida esperienza di collaborazione. Abbiamo ricevuto la gratitudine da molti pazienti e dalle loro famiglie che ci inviavano i video del loro re-ingresso a casa, mentre riabbracciavano i familiari. È stato commovente ed indimenticabile. A partire da Luglio siamo ripartiti in versione No-Covid, ma a sostegno dell’intero ospedale divenuto Covid per metà.

Come riuscite a mantenere un rapporto di umanità con i pazienti, nonostante le restrizioni?
Chi è stato nel nostro reparto racconta ai familiari di un rapporto umano caloroso e sincero con gli operatori del mio staff. Penso che un ambiente di ricovero familiare ed accogliente sia di per sè terapeutico e crei nei pazienti le motivazioni per recuperare il miglior stato di salute possibile. Per questo motivo cerchiamo di riprodurre un clima familiare, meno freddo possibile, sia con i nostri pazienti sia con i loro familiari che sono a casa. Abbiamo un link con la Cardiochirurgia di Ancona per cui accettiamo pazienti operati al cuore da tutta la regione, anche in quinta giornata post-intervento. Sono pazienti che arrivano molto compromessi e provati da un intervento a cuore aperto; vengono tutti riabilitati per almeno due settimane, cosi da tornare alle loro case pronti a una vita di nuovo normale. Purtroppo i familiari non sono ammessi alle visite, ma cerchiamo di eliminare questa lontananza usando tablet, smartphone e quant’altro. Per i malati molto compromessi ammettiamo un solo familiare che, però, deve eseguire il tampone prima di entrare.

C’è qualche paziente di questi mesi che le è rimasto nel cuore più di altri? Perché?
Al momento è nel nostro cuore Nicola, un paziente di 52 anni, con una grave cardiopatia congenita che, con la forza della determinazione, ha resistito a molti episodi gravi di scompenso cardiaco. Nonostante la grave cardiopatia dalla nascita, Nicola è riuscito a formare una bella famiglia con tre figli e una moglie davvero forte. Con loro, il mio staff ha costruito un rapporto speciale e un ambiente familiare all’interno del reparto, stante i lunghi ricoveri di Nicola. Da qualche giorno Nicola ha preso il Covid. La notizia ci ha devastato, ma siamo convinti che ce la farà. Forza Nicola!

Cosa si sente di dire a chi ancora è scettico in merito all’esistenza del Covid?
Il Covid è una malattia infettiva, come tante che hanno devastato il genere umano nei secoli passati. È stupido negarlo. Chi vuole conoscere il Covid deve indossare un dispositivo di protezione individuale ed entrare in un reparto Covid, vedere i pazienti con i tubi nelle vie aeree e pronati. Penso sarà difficile negarlo dopo aver visto questo!

Come ha vissuto la vaccinazione?
La vaccinazione per gli operatori sanitari è stata una specie di liberazione. Solo la vaccinazione ci consentirà di uscire dal tunnel. Quando almeno il 60% della popolazione sarà immune, allora l’agente infettivo potrà desistere e lascerà il campo. Lo insegna la scienza medica e l’esperienza di secoli. Non vaccinarsi è un gesto non giustificabile.

Come è cambiata la sua vita personale da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
All’inizio di questa esperienza ho deciso di isolarmi in un appartamento separato dalla mia famiglia in modo da proteggere chi non era costretto a vivere in ospedale come me. Dopo la vaccinazione ciò non è stato più necessario. La mia vita personale si è arricchita di un rapporto divenuto speciale con i miei colleghi. Le situazioni di crisi legano indissolubilmente gli esseri umani e ciò è un evento speciale che lascia il segno in senso positivo.

Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
Ai lettori dico che la pandemia ci ha insegnato molte cose, ma soprattutto ad apprezzare le persone, le piccole cose, i piccoli gesti di affetto. Spero abbia insegnato anche ad apprezzare gli sforzi che gli operatori della sanità quotidianamente fanno per risolvere problemi spesso giganteschi che affliggono le persone. Spesso una soluzione non c’è, ma non mancherà mai l’accanimento nel cercarla ad ogni costo. Questo anima chi si occupa di problemi di salute, ogni giorno.