DIOCESI – In occasione della XXIX Giornata Mondiale del Malato il Vescovo Carlo Bresciani giovedì 11 febbraio alle ore 17.30 guiderà in Cattedrale la preghiera del Rosario e alle 18.00 presiederà la Santa Messa.

Don Roberto Melone, Direttore dell’Ufficio di Pastorale Sanitaria della nostra diocesi, ci spiega l’importanza di questa ricorrenza nelle attuali circostanze: « Ci apprestiamo a vivere questa Giornata del Malato che quest’anno assume un significato molto particolare perché tra la precedente celebrazione e quella odierna abbiamo assistito allo sviluppo della pandemia».

«Di fronte a questa situazione drammatica situazione – continua il sacerdote – Papa Francesco ha scelto come icona biblica il brano evangelico di Matteo (Mt 23,1-12). Il Santo Padre richiama la centralità della figura dell’Unico Maestro e l’importanza del nostro essere fratelli, ma soprattutto invita a lottare fortemente contro l’ipocrisia di coloro che non mettono in pratica ciò che predicano. Come si applica tutto ciò al mistero della sofferenza e della malattia? La condizione dei malati ci porta ad essere, a vivere e a relazionarsi secondo la parte più vera di noi, perché di fronte alla malattia e al dolore degli altri siamo chiamati a metterci in gioco: tutta la nostra fede si gioca sulla nostra credibilità. Di fronte alla malattia c’è chi fugge, chi scappa, chi fa spallucce e chi invece si corcia le maniche mettendo in pratica il comandamento dell’amore verso il prossimo».

Lo stesso don Roberto vivrà in modo particolare questa ricorrenza: «Quest’anno la Giornata del Malato per me acquista un significato personale in quanto anche io vengo da un periodo di prove a livello fisico, non ultima proprio quella del coronavirus con 34 giorni di positività: ho avuto sintomi, non pericolosi, ma che comunque si andavano a sommare col mio precedente quadro clinico. Ne sono venuto fortunatamente venuto fuori e quindi questa giornata diventa per me un momento di grande comunione con quanti stanno ancora affrontando la loro battaglia».

Don Roberto coglie un punto centrale del Messaggio di Papa Francesco per l’11 febbraio: «Il Papa dice che la malattia ci fa sentire la nostra vulnerabilità e il bisogno innato dell’altro. La malattia di fonte alla quale ci arrabbiamo, che non comprendiamo e con la quale lottiamo fa venir fuori la parte più fragile e forse più vera di noi: non possiamo davvero fare a meno degli altri. Oltre alla cura medica, il malato necessita della cura della relazione. Posso testimoniare come nel periodo di positività il punto di forza sia stata proprio la vicinanza di tante persone».

Ed è stata proprio la comunità parrocchiale in questo periodo a stringersi al suo pastore in questo periodo: «La comunità si è fatta vicina e ho potuto assaporare l’importanza della relazione: nella malattia le persone che ti sono vicine sono fondamentali, magari sembra che facciano poco perché degli aspetti terapeutici – come è giusto che sia – si occupa il personale medico, però quelle relazioni per chi soffre sono tutto e danno quel tocco di umanità di cui tutti abbiamo bisogno, come nel vangelo che abbiamo ascoltato domenica, nel quale i discepoli fanno presente a Gesù la situazione della suocera di Pietro. Il Vangelo ci invita a donare gratuitamente quello che abbiamo ricevuto e pertanto mi auguro di poter far tesoro e far fruttificare tutto il bene che ho ricevuto in questo periodo per donarlo agli altri».

Don Roberto però ha vissuto il suo periodo di malattia alla luce del Mistero della Morte e Resurrezione che il Signore lo ha chiamato a celebrare per mezzo della liturgia: «In questo tempo ho potuto anche riscoprire i doni della Parola e dell’Eucaristia. All’inizio della malattia non è stato facile pregare o celebrare a causa del senso di spossatezza, di fatica e di precarietà, ma è stato il momento di sperimentare quanto sia vera la Parola di Dio e quanto il poter celebrare anche da solo è diventato per me l’ancora di salvezza. Nella sofferenza ho riscoperto il fondamento della mia vocazione e del mio ministero, in particolare durante la celebrazione della Messa da solo ho portato sull’altare tutta la comunità e soprattutto coloro che si trovavano nella mia stessa condizione di malato».

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