DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

E’ notte per Giobbe… lo leggiamo nella prima lettura. Quest’uomo sta attraversando la strada del dolore, della sofferenza e l’angoscia è tanto grande da farlo ragionare così: “Lo schiavo, sotto il peso del sole cocente e del bastone del suo sorvegliante, aspetta ardentemente l’ombra di una nuvola e soprattutto il crepuscolo che segna la conclusione del peso della giornata e della sua fatica; il mercenario, nella fatica di un lavoro sfruttato e precario, attende e sogna il momento in cui verrà ricompensato con il salario…io, invece, al termine della giornata della mia vita, non ho che mesi di illusione e notti di dolore. Non ho un’oasi in cui ristorarmi almeno un istante. Anzi, la mia notte è ancora più pesante perché è senza riposo ed è un continuo agitarmi nell’attesa del primo filo di luce”.
E’ la notte di Giobbe, e queste sono le parole che rivolge a Dio, parole dure ma che non vogliono significare una volontà di rompere, tagliare con Lui bensì l’appassionato desiderio di confronto con Dio stesso.
Giobbe non accetta chi vuole convincerlo che tutta la sofferenza e la disgrazia cadute su di lui e sulla sua casa sono il giusto contraccambio di Dio per il suo peccato. Addirittura presenta al giudizio di Dio stesso tutte quelle immagini insopportabili della divinità che sono per lui occasione di smarrimento, di sconforto, ma non di incredulità. Giobbe arriverà a riconoscere che aveva di Dio solo una conoscenza da “manuale”, una conoscenza solo per sentito dire; conquisterà, invece, un vero e proprio dialogo con Lui, una vera e propria relazione.
Giobbe, infatti, riscoprirà, attraverso un lungo percorso, il vero volto di Dio, del suo Dio, del Dio che non lo ha mai abbandonato lungo la notte, e si ritroverà, proprio nella sofferenza, al sicuro nelle mani di un Dio che lo ama gratuitamente.
Dio in relazione con l’uomo, Dio presente nella notte dell’uomo…Dio non si limita a farlo dall’alto dei cieli…e Gesù Cristo incarnato, per noi, oggi, ne è la conferma.
Gesù è a Cafarnao, ci dice l’evangelista Marco, a casa di Simone ed Andrea. E’ notte. «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni…».
La sera, il calare delle tenebre, quando tutto termina, quando la luce svanisce, quando non possiamo fare più nulla…è lì che il Signore non manca all’appuntamento! E si fa presente nella misura in cui desideriamo e vogliamo lasciar spazio al suo parlare, al suo agire, al suo guarire. Lì dove sperimentiamo la fine di ogni nostra possibilità, è lì che comincia la “possibilità” di Dio, è lì che dobbiamo, possiamo, riusciamo a far spazio a Dio.
E’ notte…e tutta la città bussa alla porta della casa di Gesù, tutta la città cerca in Gesù, proprio nel buio della notte, ristoro, salvezza, guarigione, conforto, consolazione.
E Gesù guarisce…poi lo sentiamo dire ai suoi discepoli: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo sono venuto!». E così fece per tutta la Galilea, leggiamo nel Vangelo.
Di casa in casa, di città in città, di strada in strada, di vita in vita, senza sosta…perché il Signore conosce bene e vuole rispondere al grido di ognuno di noi, quel grido che la liturgia, oggi, mette sulla bocca di Giobbe: «Ricordati che un soffio è la mia vita…».

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