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San Benedetto, a tu per tu con il Dott. Ermanno Ruffini, primario di Pediatria e Neonatologia

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Prosegue il nostro viaggio all’interno delle corsie ospedaliere per incontrare i primari di alcuni reparti dell’Ospedale Civile Madonna del Soccorso della nostra città. Oggi ospitiamo il Prof. Ermanno Ruffini, Primario di Pediatria e Neonatologia dell’Area Vasta 5. Dopo aver ottenuto la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Ancona nel 1985, ha conseguito il Diploma di Specialità in Pediatria presso l’Università degli Studi di Parma nel 1990, ha ottenuto una borsa di studio in Pediatria e Neonatologia presso l’Ospedale Salesi di Ancona nel 1991 e successivamente ha conseguito il perfezionamento in Neonatologia presso l’Università la Sapienza di Roma nel 1996. Dopo dieci anni di esperienza professionale presso l’Azienda Ospedaliera Salesi di Ancona, dal 2004 opera presso l’Area Vasta 5 nell’ UOC di Pediatria e Neonatologia di cui è Direttore dal 2016. È inoltre Docente di Pediatria generale e Specialistica presso il Corso di Laurea in Infermieristica (Sede di Ascoli Piceno) dell’Università Politecnica delle Marche.

Com’è la situazione attuale nei suoi reparti?
“Con l’inizio dell’emergenza Covid la nostra attività e l’aspettativa degli utenti è cambiata radicalmente. Come è noto, nel periodo Marzo-Giugno 2020, per esigenze dettate dalla pandemia ed in particolare la necessità di recuperare personale medico ed infermieristico, tutto il Dipartimento Materno Infantile, composto dalle UOC di Pediatra e Ginecologia-Ostetricia, dislocato in due plessi ospedalieri è stato riunito in un unico presidio, quello di Ascoli Piceno, con notevoli disagi per una parte dell’utenza.
A questo problema organizzativo, giustificato dalla emergenza pandemica, se ne è aggiunto uno più serio che è la paura di tante famiglie di portare in ospedale bambini o ragazzi malati anche con gravi patologie per timore di essere contagiati dal virus. L’epidemia ha evidenziato alcune situazioni, estremizzandole: che si facesse un uso improprio del pronto soccorso lo si sapeva e che non ci fosse sempre la necessità di portare il bambino al pronto soccorso pure. In questo senso c’è un prima e un dopo coronavirus. Ora si rischia all’opposto di non portarcelo anche quando è necessario per delle paure immotivate. Tutto ciò ha portato da una parte ad una riduzione dei ricoveri e degli accessi al Pronto Soccorso, ridotti entrambi del 40% circa, ma dall’altra una maggiore gravità delle malattie dei ricoveri dovuta nella maggior parte dei casi al ritardo della diagnosi e della terapia. Per quanto riguarda la sicurezza, anche nel nostro reparto si sono avuti casi di infermiere risultate positive al Covid con necessità di controlli seriati a tutto il personale sanitario del reparto. Per fortuna tutte le nostre infermiere contagiate hanno avuto sintomi lievi e l’attività del reparto, (tranne in una occasione, in cui è stata disposta la chiusura per un giorno del reparto di Patologia Neonatale), è continuata regolarmente.”

Come è cambiata la vita in reparto da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
“L’avvento della pandemia ha richiesto anche nel nostro reparto cambiamenti organizzativi e strutturali riguardanti le consuete attività assistenziali. In primo luogo alcune attività, quelle ambulatoriali e gli interventi chirurgici programmati, sono state ridotte ed in alcuni momenti anche interrotte. Questo è avvenuto al fine di garantire da un lato spazi adeguati e dall’altro ridurre l’afflusso di piccoli pazienti e dei loro familiari per prestazioni non urgenti e quindi differibili, nell’ambito del rispetto del distanziamento.
L’impegno più significativo è stato comunque quello di realizzare nel personale sanitario cambiamenti comportamentali volti a mettere gli stessi in sicurezza e garantire un’adeguata assistenza e nel contempo abbassare il rischio di contagio intraospedaliero. Ciò è stato possibile grazie al corretto uso dei dispositivi di protezione individuale, usufruendo in modo coscienzioso degli spazi comuni, limitando le visite mediche con razionalizzazione degli ingressi al fine di evitare un uso eccessivo di dispositivi. Nel nostro reparto utilizziamo generalmente la mascherina; nei casi in cui è necessario scendere al Pronto Soccorso per visitare i pazienti o se i pazienti vengono ricoverati in urgenza, in attesa dell’esito del tampone Covid, veniamo vestiti con tutti i dispositivi (camice, visiera, cuffia, calzari e guanti). Tutti i pazienti ricoverati nel nostro reparto sono accuditi da almeno un genitore ed entrambi, prima del ricovero, eseguono il tampone per Covid. Nei ricoveri prolungati, per garantire un’adeguata alternanza dell’assistenza, programmiamo all’altro genitore, generalmente il papà, un tampone che gli permetta di entrare ed assistere il piccolo.”

Come riuscite a mantenere un rapporto di umanità con i pazienti, nonostante le restrizioni?
“Purtroppo con l’inizio della pandemia sono state proibite tutte quelle attività ricreative, quali ad esempio la clownterapia, che permettevano di rendere meno angosciante per i piccoli pazienti il ricovero. Inoltre abbiamo percepito il dispiacere della separazione di uno dei genitori dai propri figli e consorti, il loro isolamento nelle stanze di degenza, spesso con comunicazioni avvenute via cellulare, la impossibilità di tranquillizzare con la comunicazione non verbale come una stretta di mano. Però da questo abbiamo tratto un insegnamento importante che ci porteremo anche in futuro che è quello di un aumentato senso di appartenenza, di collaborazione per un intento condiviso che è quello di dare il meglio anche nelle situazioni più impegnative.”

C’è qualche paziente di questi mesi che le è rimasto nel cuore più di altri? Perché?
“Mi ricordo di una adolescente di 12 anni ricoverata per febbre persistente da circa 12 giorni trattata a domicilio telefonicamente con scarsi risultati. All’ingresso le condizioni erano gravi ma con l’inizio di una terapia adeguata alla sua malattia progressivamente è migliorata. Dopo l’iniziale paura e timidezza, la piccola si è aperta e, vista la durata prolungata del ricovero, abbiamo notato con stupore nei giorni seguenti la sua vivacità e intraprendenza. Poiché la piccola era molto brava con i dispositivi digitali, ogni mattina ci dava lezioni sulla sua malattia, la terapia da eseguire e la durata della degenza, pronosticando in modo corretto il giorno della dimissione.”

Cosa si sente di dire a chi ancora è scettico in merito all’esistenza del Covid?
“Purtroppo ci sono, per fortuna una minoranza, soggetti che non credono a questa infezione o sono scettici sulla gravità della malattia. Vorrei ricordare sommessamente il numero di decessi causati da questa infezione che ad oggi in Italia sono oltre 100 mila tra cui molti operatori sanitari. Alcuni giorni fa facevo un paragone tra i decessi da Covid dall’inizio della pandemia con quelli civili durante gli anni della II guerra mondiale. Ebbene negli anni che vanno dal 1940 al 1945 i morti civili in Italia sono stati quasi 75 mila, quindi meno di quelli causati in meno di un anno dal virus.”

Ritiene corretto affermare che i bambini non vengano particolarmente colpiti dal Covid, ma sono comunque strumenti di contagio?
“Corrisponde a verità il fatto che l’età pediatrica, da 0 a 18 anni, è la meno colpita rispetto alle altre con un’incidenza del 16% circa ed è vero che anche la gravità della malattia risulta ridotta. Generalmente il 75% dei piccoli infetti sono asintomatici o paucisintomatici e solo il 2%, spesso con patologie associate, presentano quadri clinici critici. Pochi, si possono contare sulle dita di una mano, i casi mortali in questa fascia d’età. Molto spesso i bambini si infettano in ambiente domestico dai genitori o dagli adulti e come tutti gli infetti possono trasmettere il virus anche se asintomatici. Da ciò l’attenzione ai contatti dei piccoli pazienti apparentemente sani con soggetti anziani come i nonni.”

Come ha vissuto la vaccinazione?
“Sono sempre stato uno strenuo sostenitore di tutti i vaccini. Questa mia convinzione è nata durante gli studi universitari ed in particolare durante l’esame di Igiene. Studiando questa materia, mi sono reso conto che nel passato alcune malattie infettive erano altamente mortali, come ad esempio il vaiolo e la difterite, o altamente invalidanti, come la poliomielite. Ebbene, dopo l’introduzione del vaccino, queste malattie sono praticamente scomparse, almeno nei paesi cosiddetti industrializzati, e per il vaiolo non è richiesta più neanche la vaccinazione. Purtroppo per motivi economici questo non avviene nei paesi in via di sviluppo, dove ancora i bambini muoiono per il morbillo. Sono convinto che i vaccini siano stati una conquista della medicina e la miglior difesa per il futuro della società.”

Come è cambiata la sua vita personale da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
“Sebbene io sia stato vaccinato, continuo ancora oggi ad utilizzare tutti i dispositivi di protezione, sia in ambito lavorativo che familiare. Inoltre ho ridotto drasticamente, e con tutte le precauzioni del caso, quelle poche visite a mia madre. Con questa triste esperienza abbiamo toccato con mano un vissuto di preoccupazione per la nostra incolumità, per quella dei nostri familiari e dei nostri pazienti, nonché un senso di incertezza verso il futuro. Ma come detto prima, da tutto ciò abbiamo avuto un forte imprinting che ci accompagnerà nel futuro ed è quello di dare il meglio per i nostri pazienti nelle situazioni più difficili.”

Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
“Dobbiamo credere solo alle istituzioni, Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, e alle loro raccomandazioni riguardo alla prevenzione, come igiene delle mani, uso delle mascherine e rispetto della distanza. Dobbiamo essere consapevoli che solo loro sono portatori di verità scientifica, mentre bisogna evitare di abbeverarsi a fonti, non poche sui social, inquinate e farneticanti.”