Di Paolo Bustaffa

“Questo Parlamento non funziona, con questo Parlamento non si lavora, con questo Parlamento non si va avanti”. L’affermazione, ripetuta durante e dopo i dibattiti alla Camera e al Senato, è venuta con forza da qualche parlamentare con evidenti finalità. Parole a volte chiare, a volte ambigue e strumentali. Rimane il fatto che la preoccupazione per le sorti del Paese è alta e continua a crescere. Rimane il fatto che al di là delle valutazioni degli addetti ai lavori sono riemerse perplessità, delusione e fors’anche indignazione per il mediocre livello del confronto politico. In un momento così grave l’attesa era ben diversa.
Scriveva nei giorni scorsi un opinionista politico che nelle aule parlamentari non si è riusciti a “uscire dal rimbambimento dell’eterno presente” anche perché troppi rappresentanti del popolo hanno smarrito il significato del posto in cui siedono. Neppure, si può aggiungere, hanno sfiorato le altezze del pensiero e del confronto che in queste ore e in queste aule sono irrinunciabili.
E’ un’amara costatazione che invoca un deciso passo avanti per uscire dal “rimbambimento”, dal pensiero corto, dal piccolo cabotaggio, dall’incapacità di attraversare uniti una tragedia e aprire nuovi percorsi culturali e politici.
Il pensiero va al popolo della Costituzione che non è il popolo strattonato dalle strumentalizzazioni e dalla retorica. E’ il popolo che con dignità e responsabilità esercita la sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione“ e che oggi vive un supplemento di incertezza di cui non intende rimanere prigioniero.
Questo popolo ha ascoltato, almeno in parte, le parole di Joe Biden, le parole del Presidente di un Paese profondamente diviso. Il confronto, pur tenendo conto della diversità degli scenari, è stato inevitabile.
L’esito del duplice ascolto non sono però la delusione e la rassegnazione ma è la consapevolezza che un’altra politica è possibile e che a questa politica occorre prepararsi fin da ora per uscire da un prolungato “rimbambimento dell’eterno presente”.
Uscire si può. Ci sono nel nostro Paese percorsi verso il futuro avviati soprattutto da quei giovani che si ribellano alla mediocrità e alla rassegnazione. Sono percorsi intrecciati con quelli di adulti “testimoni-maestri”. Sono percorsi che, come tutto ciò che cresce, non fanno rumore. Sono percorsi che puntano a un impegno fondato sulla “cultura della cura” da cui nasce e di cui si nutre la buona politica, la politica con la P maiuscola, la politica di cui un popolo ha urgente bisogno. Segnali sono arrivati, altri stanno arrivando, altri arriveranno.

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