Opera di Osamu Tanimoto

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

C’è un tema ricorrente nella Parola di questa domenica, ed è il tema della conversione.
Cosa vuol dire conversione? Di sicuro non un cambiamento di vita, questo è una conseguenza della conversione.
Si tratta, invece, di un cambiamento di mentalità, di un ribaltamento della nostra mente! Cambiare mentalità vuol dire adottare un’altra filosofia di vita, vedere le cose in modo diverso, le relazioni con gli altri, con se stessi, con Dio in modo diverso.
Non si tratta di spostare un soprammobile da una parte all’altra o di aggiungere una pratica in più, una devozione in più nella nostra vita.
Gesù, nel Vangelo di oggi ci dice chiaramente: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Gesù non intende violentare la nostra vita, Lui entra nella nostra umanità per esaltarla e non per sconvolgerla. Non può Gesù entrare in una vita e cambiarla radicalmente a suo piacimento, non è questa la conversione, perché tutto ciò equivarrebbe a dire “sei stato creato male, non vai bene così come sei, devi cambiare”. E in questo modo il Signore andrebbe a rinnegare quel “vide che era cosa molto buona” pronunciato da Lui stesso all’atto della creazione dell’uomo.
«Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi perché sei tu il Dio della mia salvezza»: queste parole cantate dal salmista danno concretezza alla richiesta di conversione che il Signore fa a ciascuno di noi, oggi e ogni giorno.
Perché convertirsi, cambiare mentalità significa anzitutto riconoscerci poveri, limitati, bisognosi di essere accompagnati e guidati nel cammino della vita, bisognosi di affidarci a Dio e non solo a noi stessi.
Continua ancora il salmista: «Ricordati Signore della tua misericordia e del tuo amore che è da sempre. Ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore»: convertirsi è prendere consapevolezza che il Dio a cui vogliamo affidarci non è un despota di cui aver paura ma un Padre traboccante di amore verso i suoi figli, un Dio desideroso di costruire una relazione profonda con ciascuno di noi.
Comprendiamo allora cosa voglia dire San Paolo, nella sua lettera ai Corinzi, quando scrive «…d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero…». E’ una richiesta di conversione questa, certamente, ma non come azzeramento completo della nostra vita, dei nostri affetti, delle nostre relazioni, di quanto abbiamo costruito, dei nostri sogni, desideri…è la necessità di fare del Signore e della nostra relazione con Lui ciò che tiene in piedi, che dà senso, sapore, sostanza ed energia quotidiana ad ogni nostro pensare, agire, desiderare, amare.
E’ quello che accade ai primi uomini chiamati da Gesù a seguirlo: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». Gesù non chiede a Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, pescatori di mestiere, di smettere di pescare, ma di convertire la pesca: una pesca non più per catturare pesci ma per incontrare uomini e donne, pescatori che scovano la profonda umanità e bellezza che abita tutti, nessuno escluso. Seguire il Signore, convertirsi a Lui non è allontanarsi dalla città dell’uomo per rifugiarsi nel deserto o sul monte. Gesù chiama noi suoi discepoli per condurci dentro il vivo della storia, la nostra e di tutti coloro che incontriamo, dentro il vivo della nostra umanità, dentro il vivo e il vero della nostra vita.
Lasciamoci accompagnare da Lui in questo cammino, lasciamoci convertire dalla Sua Parola, scegliamo di rimetterla sempre e ogni giorno al centro delle nostre scelte, desideri, attese.

 

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