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San Benedetto, a tu per tu con la Dott.ssa Giorgi, Primario di Oncologia

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – In questi mesi abbiamo riportato le testimonianze di numerosi medici che ci hanno raccontato come stiano affrontando, in Italia ed all’estero, l’emergenza coronavirus. Oggi iniziamo un nuovo viaggio all’interno delle corsie ospedaliere, intervistando i primari di alcuni reparti dell’Ospedale Civile Madonna del Soccorso della nostra città. A rompere il ghiaccio è la Dott.ssa Francesca Chiara Giorgi, Primario di Oncologia Medica dell’Area Vasta 5. Dopo aver ottenuto la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Firenze nel 1989 con la votazione di 110/110 con lode, ha conseguito la Specializzazione in Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Ancona nel 1993 con votazione di 50/50 con lode e ha seguito ed acquisito numerosi stage e master sia in Italia (Ravenna e Roma) sia all’estero (Los Angeles). Da sempre impiegata nell’Ospedale Civile di San Benedetto del Tronto, da Dicembre 2019 è Direttore dell’ UOC di Oncologia dell’ Area Vasta 5.

Com’è la situazione attuale nel suo reparto?
“L’Oncologia Medica di AV5 si struttura su due presidi, l’Ospedale Mazzoni di Ascoli Piceno e l’Ospedale Madonna del Soccorso di San Benedetto del Tronto. Ad oggi siamo in tutto 6 medici che operano in entrambe le strutture e questo risulta essere un organico insufficiente, considerando che il personale medico di San Benedetto si occupa anche della gestione clinica dell’ Hospice. Gli infermieri sono 14, 3 gli operatori socio-sanitari e 2 i coordinatori infermieristici. In Oncologia operano anche due organizzazioni di volontariato, lo IOM in Ascoli e BiancoAirone a San Benedetto, con attività di accoglienza e supporto psicologico per i pazienti.
L’ attività dell’ Oncologia si svolge in regime di ricovero giornaliero (Day Hospital), per eseguire chemioterapia, immunoterapia, terapie biologiche e terapia di supporto (come ad esempio le trasfusioni) ed attività ambulatoriale per visite di controllo semestrali e annuali. Ogni anno registriamo circa 400 pazienti ricoverati in Day Hospital a SBT e 400 in AP.
Il progressivo sviluppo di nuovi farmaci ha reso sempre più complessa la nostra attività, soprattutto per quanto riguarda la gestione di effetti collaterali delle nuove terapie che possono comportare tossicità differenti dei chemioterapici. È necessaria pertanto, da parte di tutto il personale, un’attenzione costante e partecipe, un continuo aggiornamento ed il coinvolgimento dei pazienti e dei familiari. Dal 15 Gennaio, grazie ad una borsa di studio annuale della Fondazione Carisap, abbiamo la possibilità di poter usufruire dell’attività di una Data Manager, indispensabile per poter partecipare a studi clinici e soprattutto per poter richiedere l’impiego di farmaci innovativi ancora non disponibili in commercio.”

Purtroppo in questi giorni avete registrato dei casi di positività al Covid-19 da parte di alcuni sanitari. Com’è la situazione?
“Alcuni casi sono stati registrati tra i pazienti sia nella prima ondata che a Novembre scorso, ma fortunatamente non sono stati trasmessi al personale medico ed infermieristico e si sono risolti positivamente. In questa seconda ondata, invece, è accaduto il contrario: attualmente abbiamo 4 infermieri risultati positivi al Covid-19. Per questo motivo sono stati chiamati tutti i 100 pazienti del Day Hospital che sono stati a contatto con i positivi e sono stati sottoposti a tampone: manca ancora qualche responso, ma tutti i referti finora già noti sono negativi. Anche noi medici ed il resto dei sanitari abbiamo eseguito un tampone e – come di norma – continuiamo a ripetere l’esame ogni 3 giorni.”

Come è cambiata la vita in reparto da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
“Il Covid ha modificato molte azioni della nostra vita quotidiana. Prima di tutto dobbiamo utilizzare dei presidi di protezione e prevenzione prescritti dalla AV5: in particolare è assolutamente obbligatorio l’impiego della mascherina FP2 e l’uso dei guanti per alcune operazioni; il reparto poi viene disinfettato ogni giorno, così come le sedie e i lettini per la visita medica. Il Covid, inoltre, ha reso decisamente più complessa la nostra attività: possiamo dire che continuiamo ad eseguire trattamenti oncologici, valutando tuttavia caso per caso, dove naturalmente il quadro clinico lo permette, se e come rinviare le terapie per ridurre l’accesso in Ospedale. Abbiamo anche ridotto nel periodo critico le visite ambulatoriali, valutando gli esami al computer e tramite colloquio telefonico con il paziente. Infine è cambiato anche il rapporto con i familiari dei pazienti: per loro è vietato l’ingresso nelle stanze del Day Hospital; abbiamo invece permesso loro l’accesso nello studio del medico durante la visita in caso di pazienti fragili o se prevediamo un colloquio emotivamente difficile e delicato.”

Come riuscite a mantenere un rapporto di umanità con i pazienti, nonostante le restrizioni?
“La qualità del nostro lavoro è inevitabilmente condizionata dalla capacità di empatia e di attenta comprensione del paziente e della sua famiglia: la visita medica e il colloquio sono fondamentali per avere informazioni dello stato di salute che gli esami strumentali, come ad esempio la Tac, spesso non riescono a fornirci. Pertanto ci sforziamo di evitare che i presidi anti Covid compromettano la comunicazione con il paziente, cercando comunque di mantenere un rapporto diretto e costante.”

C’è qualche paziente di questi mesi che le è rimasto nel cuore più di altri? Perché?
“I nostri pazienti e le loro storie non vengono dimenticati, indipendentemente dall’evoluzione clinica; devo dire che ricevere la notizia da parte di giovani pazienti della nascita dei loro figli, dopo la conclusione dei trattamenti oncologici, è un momento di particolare gioia.”

Cosa si sente di dire a chi ancora è scettico in merito all’esistenza del Covid?
“Purtroppo la mia esperienza personale parla da sola: mio fratello, psichiatra di 64 anni, ha contratto il Covid nell’ambito lavorativo ed è morto dopo 20 giorni dalla diagnosi. Era una persona sana e gioviale, un po’ di sovrappeso come unico fattore di rischio, ma l’ unica causa del decesso è stato proprio il Covid.”

Come ha vissuto la vaccinazione?
“Ho già ricevuto la prima dose del vaccino. Non ci ho dovuto riflettere molto. Sinceramente ho pensato a mio fratello e a tutte le persone che non sono riuscite ad arrivare a questo traguardo.”

Come è cambiata la sua vita personale da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
“Quello che mi pesa veramente in questo periodo non è l’ azzeramento della vita sociale o l’assenza di eventi lavorativi (come, ad esempio, i congressi) ma il fatto di aver ridotto in maniera drastica i gesti affettuosi nei confronti dei miei figli.”

Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
“L’Oncologia Medica è una disciplina in continua evoluzione, sia per quanto riguarda la prevenzione, sia per quanto concerne la comprensione della biologia tumorale ed i farmaci a disposizione. Lo stile di vita è fondamentale, soprattutto lo sono una moderata e costante attività fisica ed una corretta alimentazione. È importante che questa cura di sé sia presente fin dalla giovane età. Purtroppo il 30% degli adolescenti italiani fuma e la stessa percentuale fa periodicamente abuso di alcool (binge drinking). Per questo motivo, già diversi anni fa, ho effettuato qualche incontro nelle scuole per informare i ragazzi e sensibilizzarli. In genere è il Dott. Cacaci che si occupa di prevenzione degli adolescenti per alcol e fumo, incontrando spesso nei Licei i giovani studenti. Resta inteso che nessuno possa sostituirsi ai genitori. Perciò l’appello principale che faccio è proprio a noi genitori: poniamo attenzione a questi segnali per garantire la salute futura dei nostri ragazzi.”