Pubblichiamo le considerazione del Prof. Giovanni Tridente della Pontificia Università della Santa Croce, in merito al Messaggio di Papa Francesco per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Leggi il testo, clicca qui
Siamo in qualche modo tutti giornalisti. Quantomeno è ciò che siamo diventati oggi nell’epoca della disintermediazione (flussi costanti di informazione che viaggiano su innumerevoli multi-piattaforme accessibili a tutti, sia come recettori che come produttori).
In quanto tali, è questo lo spirito con cui dobbiamo rapportarci alle vite di chi ci circonda, alle storie a cui assistiamo: “uscire da noi stessi”, “consumare le suole delle scarpe”, per “andare a vedere”, imparare “ad ascoltare”, superare i pregiudizi, evitando di “trarre conclusioni affrettate”. Per capire ci vuole tempo, e non bisogna farsi “distrarre dal superfluo”. Bisogna coltivare l’artigianato della verifica, perché è fondamentale saper “distinguere l’apparenza ingannevole dalla verità”.
Riassumerei in queste poche battute – che sono prese dalla preghiera finale – l’essenza del Messaggio di Papa Francesco per la 55ma Giornata delle Comunicazioni Sociali, che si celebra come ogni anno il 24 gennaio, Festa di San Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti.
È dedicato a “loro” questo messaggio, all’importanza del loro lavoro, alla dinamica di una professione che ci è tanto cara e che purtroppo non si è sempre dimostrata all’altezza del proprio compito, per innumerevoli ragioni.
Ma c’è di più: quelle “prerogative” che un tempo appartenevano a chi avrebbe avuto tempi e modi per “perseguire la verità” oggi sono – e devono essere – prerogative di tutti, a maggior ragione per un cristiano che si dice amico delle persone e amico della verità.
Vieni e vedi” è l’input da cui parte il Messaggio, e sono le parole che Gesù rivolge a chi gli chiedeva “approfondimenti”, “anticipazioni” rispetto alla possibilità di seguirlo in una missione che poi era fondamentalmente incontro con le persone, con la carne viva di quelle prime comunità che hanno avuto l’opportunità di conoscere da vicino il Messia.
Esserci e osservare sono i capisaldi della professione informativa: non si parla per sentito dire, per interposte dichiarazioni, si va e si vede, si verifica e poi si racconta.
È questa la dinamica che ci rende veramente partecipi di ciò che accade intorno a noi. Ed è questo lo scopo dell’informazione e della comunicazione al servizio delle persone, a cominciare dal servizio a sé stessi: la possibilità di prendere una decisione con libertà, perché si è potuti avere a disposizione tutti gli elementi di conoscenza necessari a formarsi un’opinione. Ce lo garantisce anche la nostra Costituzione italiana.
La comunicazione siamo noi, è fatta da noi e deve servire a noi. Il Papa lo spiega molto chiaramente in questo ultimo Messaggio ai comunicatori.
Non basta dunque lamentarsi che le cose non vanno bene, che i giornali non fanno il loro dovere, che i social hanno moltiplicato le situazioni di “smarrimento”, attribuendo sempre ad un “ente” fondamentalmente astratto quelle responsabilità che invece abbiamo cucite addosso, perché si tratta delle nostre storie, delle nostre vite. E non sarà mai certo lo strumento, il mezzo, a fare ciò che invece compete a noi esseri pensanti in carne ed ossa: andare e vedere, ascoltare e verificare, quindi raccontare, condividere ciò che abbiamo realmente visto, approfondito e conosciuto.
È un appello personale, rivolto a ciascuno: andare laddove nessuno vuole andare, vedere ciò che nessuno vuole vedere, approfondire ciò che nessuno vuole approfondire, raccontare ciò che spesso nessuno racconta. È responsabilità di tutti, perché quel “nessuno che voglia fare qualcosa” è ognuno di noi.
Di fronte alla verità, di fronte all’importanza di conoscere, di far sapere, di diffondere soprattutto il bene non devono esserci scappatoie. Gli esempi non mancano – c’è chi continua a dare la vita, con coraggio, per denunciare soprusi e ingiustizie, e il Papa lo ricorda – ma non mancano neppure i mezzi, le possibilità.
La chiave in definitiva è incontrare le persone laddove vivono, soffrono e sperano. E le persone siamo noi, i nostri sguardi, i nostri gesti e la nostra voce. Ma anche il nostro cuore, desideroso di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, raccontando con onestà “ciò che abbiamo visto”.

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