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Intrecci – Sapere e pensare nei giorni della pandemia

Paolo Bustaffa

I media raccontano che nel tempo della pandemia l’incertezza e l’inquietudine stanno cercando e trovando nella scienza un interlocutore rassicurante. Dicono anche che si ricorre sempre più alla parola “miracolo” per commentare progressi e successi scientifici e tecnologici.
Ritorna, con linguaggio giornalistico, il tema del dialogo tra fede e scienza, tra fede e ragione. Lo svilupparsi di un reciproco interrogarsi richiama anche sulle pagine di giornale un’insopprimibile ricerca di senso.
Ci si chiede se la scienza, dono e responsabilità dell’intelligenza umana, non sia il segno di una grandezza che va oltre le misure dell’uomo.
Sono temi, questi, che hanno una storia ben nota e per stare a quella più recente sono nell’eredità di scienziati come Antonino Zichichi ed Enrico Medi.
Sono temi che rimandano all’inscindibile binomio “sapere e pensare”.
“Sapere – scriveva Pierangelo Sequeri commentando un discorso alla città dell’arcivescovo di Milano – è condizione necessaria ma non sufficiente per vivere da uomini. Pensare è indispensabile per essere umani. Si può anche diventare portatori ottusi del sapere, come le macchine degli algoritmi, se nessuno ti ha insegnato a pensare. Pensare è lo stile umano – inconfondibile – nell’interiorità che annuncia un essere umano. Il sapere da solo non è capace di tutto questo”.
In ben diverso contesto, quello dei vaccini anti Covid19, l’intrecciarsi del sapere con il pensare è un percorso che conduce al significato di una conquista scientifica e nello stesso tempo mette al riparo da un delirio di onnipotenza.
Nei centri della ricerca scientifica, nei luoghi della sua applicazione questo intreccio è percettibile e rimanda ad altro, rimanda a una Presenza che non chiede riflettori per esistere e per manifestarsi.
Ha però bisogno dell’uomo, del suo pensiero, della sua voce, delle sue mani, del suo volto. Ha bisogno dell’uomo che ama pensare perché sente di essere il frutto di un pensiero.
Anche l’esperienza dolorosa e non conclusa della pandemia può portare su questi sentieri intrecciati che arrivano ai bordi del limite e si spingono a quelli dell’infinito.
In realtà ciò sta avvenendo negli ospedali e in altri luoghi dove un “magistero laicale” prende la parola con la competenza professionale e con la tenerezza degli sguardi e dei gesti.
La “luce in fondo al tunnel” di cui parla questo “magistero” è il vaccino ma non è solo il vaccino.
Nella sofferenza e nella paura l’intrecciarsi del sapere con il pensare indica una luce che non è solo quella annunciata in fondo a uno dei molti tunnel che l’umanità sta attraversando.