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Papa Francesco: “Ti racconto la speranza”

M.Michela Nicolais

“Come nella vita di ognuno di noi c’è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della meta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l’orizzonte comune verso cui siamo incamminati”. Così il Papa, nel suo primo Angelus del tempo di Avvento sul soglio di Pietro, definiva l’orizzonte della speranza, essenziale “per fare un buon cammino”: “Una speranza che non delude, semplicemente perché il Signore non delude mai!”. E al tema della speranza sono dedicate le riflessioni di papa Bergoglio sull’Avvento e sul Natale, ora raccolte nel volume “Ti racconto la speranza”, pubblicato dalle Edizioni San Paolo. Un aiuto per celebrare questo tempo di festa, anche in tempo di Covid, nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie e “a tu per tu” con noi stessi.

L’odio e il rancore ci avvelenano l’anima. “Giuseppe era un uomo buono. Non odiava, e non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo. Ma quante volte a noi l’odio, l’antipatia pure, il rancore ci avvelenano l’anima! E questo fa male. Giuseppe è diventato ancora più libero e grande. Accettandosi secondo il disegno del Signore, Giuseppe trova pienamente sé stesso, al di là di sé. Questa sua libertà di rinunciare a ciò che è suo, al possesso sulla propria esistenza, e questa sua piena disponibilità interiore alla volontà di Dio, ci interpellano e ci mostrano la via”. (Angelus, 22 dicembre 2013)

La grazia della prossimità. “La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine. Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: ‘Signore, aiutami a essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte a ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”. (Omelia, 24 dicembre 2014)

Il nostro posto nella storia. “Il presepe ci sfida a non dare nulla e nessuno per perduto. Guardare il presepe significa trovare la forza di prendere il nostro posto nella storia senza lamentarci e amareggiarci, senza chiudersi o evadere, senza cercare scorciatoie che ci privilegino. Guardare il presepe implica sapere che il tempo che ci attende richiede iniziative piene di audacia e di speranza, come pure di rinunciare a vani protagonismi o a lotte interminabili per apparire”. (Omelia, 31 dicembre 2016)

Vigilare contro la vanità. “La persona vigilante è quella che accoglie l’invito a vegliare, cioè a non lasciarsi sopraffare dal sonno dello scoraggiamento, della mancanza dio speranza, della delusione; e nello stesso tempo respinge la sollecitazione delle tante vanità di cui trabocca il mondo e dietro alle quali, a volte, si sacrificano tempo e serenità personale e familiare”. (Angelus, 3 dicembre 2017)

La parola-chiave. “Eccomi è la parola-chiave della vita. Segna il passaggio da una vita orizzontale, centrata su di sé e sui propri bisogni, a una vita verticale, slanciata verso Dio. Eccomi è essere disponibili al Signore, è la cura per l’egoismo, l’antidoto an una vita insoddisfatta, a cui manca sempre qualcosa. Eccomi è il rimedio contro l’invecchiamento del peccato, è la terapia per restare giovani dentro. Eccomi è credere che Dio conta più del mio io. E’ scegliere di scommettere sul Signore, docili alle sue sorprese”. (Angelus, 8 dicembre 2018)

Guardare col cuore. “Solo chi guarda col cuore vede bene, perché sa ‘vedere dentro’: la persona al di là dei suoi sbagli, il fratello oltre le sue fragilità, la speranza nelle difficoltà: vede Dio in tutto. Mentre cominciamo il nuovo anno chiediamoci: ‘So guardare col cuore le persone? Mi sta a cuore la gente con cui vivo, o la distruggo con le chiacchiere? E soprattutto, ho al centro del cuore il Signore? O altri valori, altri interessi, la mia promozione, le ricchezze, il potere’? Solo se la vita ci sta a cuore sapremo prendercene cura e superare l’indifferenza che ci avvolge. Chiediamo questa grazia: di vivere l’anno col desiderio di prendere a cuore gli altri, di prenderci cura degli altri. E se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, ci stia a cuore la dignità di ogni donna. Dalla donna è nato il Principe della pace. La donna è donatrice e mediatrice di pace e va pienamente associata ai processi decisionali. Perché quando le donne possono trasmettere i loro doni, il mondo si ritrova più unito e più in pace. Perciò, una conquista per la donna è una conquista per l’umanità intera”. (Omelia, 1° gennaio 2020).